Storia della nascita di tre importanti quartieri di edilizia economica popolare nella città di Novara. Di Stefano Rabozzi e Rossella Buratti.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, il problema dell’abitazione per le classi meno
abbienti è stato motivo di forte attenzione da parte di uomini di governo e non solo.
Il fenomeno dell’industrializzazione in Italia segna un traguardo importante per lo sviluppo socio-‐economico del paese ma crea anche la base per la nascita di fabbisogni e nuove problematiche come quelle, appunto, riguardanti la casa. In realtà il problema interessava le classi più povere, se pur con caratteristiche diverse da regione a regione. Nelle città del nord il fabbisogno di abitazioni era strettamente collegato al fenomeno dell’urbanesimo relativo allo sviluppo industriale.
Novara, centro del grande triangolo industriale, vedeva localizzarsi in città le smalterie
Fauser, la Manifattura Rotondi (1902), la De Agostini trasferitasi da Roma nel 1909, senza
dimenticare anche la crescita dei settori risiero-‐lattiero-‐caseario.
La rapida industrializzazione portò ad un esodo verso le città e, contemporaneamente, ad una
compressione del costo del lavoro con conseguente abbassamento dei salari degli operai. Parallelamente gli investimenti nel settore immobiliare erano orientati ad un mercato con target medio-‐alto. Tutta questa situazione aggravata dalla domanda regressa di abitazioni in zone congestionate e dal risanamento dei centri storici che portava all’espulsione delle famiglie più povere.
Anche a Novara fu notevole l’aumento demografico: nel 1948 vi erano complessivamente
21.000 abitanti, mentre nel 1901 si erano più che raddoppiati, arrivando a 45.000 abitanti e contava la più alta percentuale di manodopera di tutto il Piemonte.
Alla luce di queste vicende si iniziò a muovere qualche azione di tipo filantropico di fronte, però, al totale disinteresse dei privati, alle restrizioni degli istituti finanziari pubblici (che non potevano intervenire in investimenti immobiliari a lungo termine) e la latitanza dell’azione pubblica causata da uno Stato costantemente in deficit; l’unica legge presente allora era quella sugli espropri del 1865 che escludeva completamente il settore residenziale.
Questo immobilismo venne scosso dall’insorgere di movimenti popolari culminati con l’occupazione delle case a Roma nel 1888. Nacque così, con l’obiettivo di creare una legge sull’edilizia popolare, un comitato nazionale sostenuto da forze politiche e da un grande consenso dell’opinione pubblica. L’esponente più rappresentativo era l’On. Luigi Luzzatti, il quale nel 1903 promulgò la prima legge sul modello di quelle già presenti in Belgio, Francia e Germania. Agevolando con sgravi fiscali l’attivazione di capitali privati nell’edilizia economica senza fini speculativi, gli effetti furono immediati: gli enti autorizzati al credito salirono da 90 nel 1903 a 407 nel 1909, fino a 7541 nel 1913. Il primo Istituto Autonomo Case Popolari fu quello di Roma costituito nel 1905.
A Novara nel 1909 ci fu un nuovo piano di ampliamento della città: gli stabilimenti industriali si concentrarono soprattutto a nord-‐est del centro storico, tra C.so Risorgimento e C.so Milano, area nella quale era anche localizzato lo scalo ferroviario.
Correva l’anno 1922, quando nacque l’Istituto Autonomo delle Case Popolari a Novara,
sindaco il prof. Giuseppe Bonfantini. Il 23 giugno del 1923, con Regio Decreto, Tomaso di Savoia, duca di Genova, luogotenente generale di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, riconosce all’IACP di Novara il diritto a qualificarsi come “ente morale” e ad iniziare la propria attività sul territorio comunale. La prima sede dello I.A.C.P. sorse in Viale Dante, accanto alla farmacia Gorla.
Il capitale iniziale dell’Ente era costituito da 2 milioni e mezzo di lire e da terreni in regione “Vela” concessi dal Comune; “Vela” dove una volta sorgeva una vecchia cascina con un leggendario “toro”, il tor d’la Vela, attualmente la zona è inglobata nel quartiere di Sant’Andrea a nord della città. Vennero allora costruite 3 case a due piani e 17 ad un piano per un totale di 29 alloggi. Questo fu un momento fondamentale dell’IACP, una grande novità sociale in un momento in cui la “casa” era un bene prezioso, i proprietari erano pochissimi e non esisteva la struttura del “condominio”. Una vittoria dell’IACP come vittoriosa era l’Italia uscita dalla guerra (nonostante le conseguenza devastanti).
In seguito, in Italia, furono emanate altre leggi per l’edilizia e l’urbanistica come il “Testo
Unico per le Case Popolari e l’attività costruttiva” nel 1919 e la legge per l’estensione in tutte le province degli Istituti Autonomi per le Case Popolari nel 1935. Grazie a quest’ultima legge, infatti, nel 1938 l’IACP di Novara estende i suoi confini a tutta la Provincia.
A Novara tra il 1931 e il 1941 ci furono delle ulteriori ondate migratorie molto forti che portarono la città a crescere di 32.000 abitanti in più, cosicchè si diede inizio alla seconda fase costruttiva del quartiere Vela costruendo soprattutto in via Fratelli Di Dio, via Beltrami, via Gobetti, via Andoardi e via Boschi utilizzando nuovi sistemi costruttivi, con edifici di ampie dimensioni che presero il posto delle villette.
La terza fase costruttiva di espansione del quartiere Vela è avvenuta nel dopoguerra a partire dal 1948 principalmente nella via Serazzi, via Scotti, via Amendola e via Tarantola (ristrutturate poi successivamente negli anni ’70). In questo periodo vengono anche intitolate le vie, e come si può notare la toponomastica rispecchia i martiri della Resistenza, come i famosi fratelli siciliani Di Dio, patrioti in Valstrona. Il quartiere a tutt’oggi conta su 480 alloggi più 148 box
Dopo la Seconda Guerra Mondiale però, a partire dal 1946, Novara, come altre città italiane
accolse i profughi provenientei dall’Istria, da Fiume, da Pola, dalla Dalmazia e da altre zone che erano state cedute alla Jugoslavia di Tito. Questi profughi per un certo periodo furono ospitati nella caserma Perrone. Il problema fu molto sentito e affrontato dai politici dell’epoca come l’on. Scalfaro ed i sindaci che si erano succeduti in quel periodo (Pasquali, Porzio-‐ Giovanola, Allegra) nonchè i presidenti della provincia Camascella e Bonfantini.
Una legge dello stato del 1952 aveva stabilito, per la sistemazione di profughi ricoverati in centri di raccolta, la costruzione a spese dello Stato di residenze popolari per un importo di 9 miliardi di vecchie lire. Così i vari IACP si occuparono della realizzazione nelle varie provincie e della gestione e riscossione degli affitti. Novara fu una delle prime città ad usufruire dei fondi della legge con un fondo di 382 milioni circa di lire. Il Comune nel 1954 definì la costruzione di un nuovo villaggio, detto “Villaggio Dalmazia”, a sud della città tra il già esistente quartiere Rizzottaglia e il Torrion Quartara, per incentivare lo sviluppo della città in quella direzione al fine di non creare un’isola etnica. Le vie della nuova parte di città furono intitolate a note località della Venezia Giulia come Asiago, Pordedone, Oslavia, Aquileja, Cividale, Grado, ecc.
Con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale si aggravò il problema a causa delle estese distruzioni belliche. Per cercare di ovviare a questa crisi del dopoguerra, nel 1949 si istituì la gestione Case-‐INA (Piano Fanfani) per incrementare l’occupazione operaia mediante la costruzione di case. Gli anni ’50-‐‘60 sono interessati dall’emanazione di molte leggi a favore dell’edilizia economica popolare, in particolare nel 1963 ci fu la liquidazione del patrimonio INA-‐Casa a favore dell’istituzione di un programma decennale per la costruzione di alloggi per lavoratori, detto appunto Ges.ca.l.
A partire dal 1956, a Novara ci fu un’alta grande realizzazione dell’IACP sempre nel quartiere di Sant’Andrea: il Villaggio San Rocco. La zona, vegliata da una piccola chiesetta dedicata a San Rocco, ospitava campagna e vaste aree di alberi e boschetti ma in realtà il PRG prevedeva per quest’area residenze economiche popolari a cura dell’IACP e della Ges.ca.l. (Gestione Case Lavoratori). Il quartiere San Rocco venne concepito come realtà autonoma provvista di tutte le attrezzature: scuole, farmacia, ufficio postale, centro sanitario, attrezzature sportive, ecc. Nel 1974 terminò l’ampliamento del quartiere, e, nel corso di 18 anni, furono realizzati 40 edifici con 580 alloggi.
Nel 1961 la sede dell’IACP si trasferisce in via Boschi, regione Vela, contando su sedici dipendenti, un ingegnere (Mario Leonardi) e sette geometri. Con la legge n.865 del 1971 l’IACP diventa un Ente Pubblico non economico con prevalenza di attività socio-‐assistenziale; questa trasformazione creò il presupposto per l’integrazione delle politiche della casa, di sviluppo del territorio e di una disciplina unitaria dei canoni. A partire dagli anni ’90 l’IACP si trasforma in “Agenzia Territoriale per la Casa” e il controllo dell’Ente, fino ad allora attuato dal Ministero dei Lavori Pubblici, verrà esercitato dalle Regioni. Questa legge, inoltre, permetterà la vendita di una cospicua parte del patrimonio immobiliare degli Enti Pubblici, ponendo le basi per un rilancio dell’edilizia residenziale pubblica, prevedendo il reinvestimento dei ricavi per l’incremento e la riqualificazione della stessa.
Questi quartieri storici fanno ormai parte della nostra quotidianità, della quale troppo spesso ignoriamo il significato. Risultano oggi essere parte caratterizzante della nostra città che, purtroppo, solo per alcuni conserva ancora il significato originario, che si riflette nellatoponomastica delle vie.