Perché quando sono in gruppo si trasformano in branco?
E’ vero che i ragazzini di oggi sono figli di una generazione che sta fuori casa per 8 ore al giorno e dove i nonni sono ancora in grado di lavorare, con conseguente mancanza di tempo per seguire i giovanissimi, per educarli e per controllarli , ma è anche vero che spesso, troppo spesso , anche se il tempo ci sarebbe non è così semplice farlo perché ci vuole costanza, pazienza e polso per impedire loro che trascendono e diventino decisamente pericolosi, come in realtà sta avvenendo.
Qualche settimana fa in un centro commerciale vicino a Torino, una mamma è stata aggredita di fronte al figlio da un gruppo di tre minorenni, solo perchè aveva detto loro di non bestemmiare, mentre a Bologna due quindicenni sono stati aggrediti da un gruppo di coetanei a colpi di catene.
I motivi non sempre ci sono, o se ci sono , sono comunque sempre futili, cioè sono solo scuse per aggredire: il colore della pelle, un paio di sneakers nuove, una battuta non gradita ed ecco che i minorenni partono all’attacco del malcapitato di turno , sia egli adulto o loro coetaneo , con spintoni, calci, insulti, fino ad arrivare all’uso di coltelli o bastoni.
Alcuni parlano di baby gang, altri di bullismo, altri ancora di disagio sociale. La verità è che il problema va identificato nel fatto che se c’è un gruppo, ci sarà sempre un capo e il capo genera micro-gerarchie interne che sopperiscono all’assenza di punti di riferimento autorevoli adulti : in questo modo la situazione di gruppo aumenta la tendenza all’emulazione di quel che fa il capo. La protesta diventa quindi delinquenza: atti di vandalismo, soprusi e vessazioni, furti, abuso di sostanze.
Quando emergono condotte violente e antisociali ci si chiede quale sia stato il contesto in cui il giovane è cresciuto e che evidentemente non gli ha fornito la percezione di quei limiti che sembrano essere saltati.
Quindi si tende a giustificare o comunque a dare una spiegazione a tali comportamenti pensando che chi li compie abbia avuto un’ infanzia deprivata, segnata da abusi e incuria del sistema familiare, spesso problematico o con stili educativi basati sull’autoritarismo e l’intolleranza.
Ma non è sempre così.
La prova è che spesso anche i figli di della medio-alta borghesia , cresciuti nell’agio economico, vissuti in famiglie arrendevoli, iperprotettive, ”serie”, che non soffrono situazioni di svantaggio sociale, possono attivare modalità di condotta a dir poco deplorevoli mettendo in atto comportamenti che indicano la carenza di limiti e di percezione del “è permesso/non è permesso”.
Ma se il contesto sociale non è così determinante, allora quale può essere il fattore trainante per i comportamenti rabbiosi e aggressivi dei ragazzini di oggi?
Presto detto : l’assenza di una guida adulta che avvii e accompagni il percorso di crescita e responsabilizzazione, il contatto con le frustrazioni della realtà, il compromesso con il punto di vista dell’altro. Questa assenza a volte è giustificata (il lavoro per sostenere la famiglia non può essere tralasciato), altre è fittizio (cioè si crede di dare un’educazione, ma si è troppo permessivi) .
E’ importante sapere che chi diventa violento manifesta in realtà una marcata onnipotenza perché cerca nella messa in atto di soprusi un altro modo di manifestare il proprio potere e nascondere a se stesso il bisogno di riconoscimento, approvazione, stima che gli sono venuti a mancare nella famiglia di origine.
E questa assenza è sempre più alta, quindi dove non arriva la famiglia dovrebbe obbligatoriamente arrivare la società, attraverso una rete di supporto e prevenzione – fatta da servizi scolastici, sociali e sanitari – che individui precocemente situazioni di criticità e fragilità e attivi azioni dirette sui ragazzi e azioni di supporto nei confronti dei membri della famiglia.
E’ l’aridità formativo-educativa -ripetiamo, non solo della famiglia - che scatena “l’effetto branco” nei giovani e fermare tale violenza, spesso, risulta essere ormai impossibile.
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