.Vercelli 8 aprile 2020
DIARIO DI BORDO – 7 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
UN ALTRO PUNTO DI VISTA
Caro diario, questa sera ti aspetta qualcosa che ancora non hai visto.
Per la prima volta (e non è detto sia l’ultima) ospito su queste pagine il contributo di un’altra persona che sta affrontando, con un punto di vista differente dal mio, l’emergenza COVID.
Lo scritto che segue mi ha colpito.
È schietto, sincero, va dritto al cuore. È il punto di vista di un giovane volontario soccorritore della Croce Rossa Italiana (comitato di Novara), si chiama Alessandro Buffelli . Ringrazio anche un altro volontario (CRI di Oleggio – Alessandro Mazzola) per avermi messo in contatto con autore del testo. Non posso dimenticare che proprio tra i volontari di Croce Rossa di Oleggio imparai ad amare quello che poi divenne il mio mestiere: prendersi cura, curare.
---
Drin.
«Ciao. Ambulanza XXXX.»
«Ciao ragazzi, ho una bella grana per voi, scusatemi.»
«Tranquilla, dimmi.»
«Un Giallo, Covid.»
«Ok.»
«Salite in due. Mi raccomando, bardatevi bene.»
«Sì, tranquilla. Dove?»
«Via XXX, allarme delle ore XX»
«Oookay, ricevuto.»
«Mi raccomando, proteggetevi. Per qualsiasi cosa chiamateci. Buona fortuna…»
Di telefonate su quel cellulare ne ho prese tante, ma questa mi ha gelato.
Lo capisci dalla voce di chi ti fa uscire: una persona che non sa quale sia l’equipaggio, ma è preoccupata per te. È una voce dolce, ormai familiare, ma distrutta.
Non hai tempo per farti prendere dall’angoscia: è un giallo respiratorio, c’è da muoversi.
Solo che “muoversi” non è così facile: devi “bardarti”, devi metterti quella tuta XL bianca e plasticosa, con tre paia di guanti uno più spesso dell’altro, la mascherina “seria”, gli occhiali (sopra a quelli da vista) che si appannano, il cappuccio, i calzari, il nastro adesivo per sigillare la cerniera. Non è facile “bardarsi” bene, ma devi farlo in modo impeccabile, perché ne va della salute tua e di chi ti sta vicino, primi tra tutti i tuoi familiari.
Dopo dieci minuti ti richiama la centrale.
«Stai a vedere che è diventato un Rosso…»
E invece: «Ragazzi, a che punto siete? Tutto bene?»
«Sì, abbiamo appena finito di vestirci. Partiamo ora»
«Ok. Coraggio eh, in bocca al lupo! Se serve, siamo qui.»
Grazie, penso con una incredibile riconoscenza.
Sirene spiegate, si va. Viaggiare sull’ambulanza così “bardati” non è facile, ti manca il respiro, le curve sono prese veloci, soffri un po’. Ma non hai testa neanche per quello. Stai scacciando dalla testa il fatto che chi ti troverai davanti è un appestato: non è così.
Arrivi, prendi la radio, ti metti d’accordo con l’autista che si chiude in cabina.
Sali, ti trovi davanti il paziente coi familiari. È orribile, ma li vedi con le mascherine fuori posto e devi ordinare di sistemarle e di allontanarsi, di tenere un metro e anche più di distanza da te. Certo non fai una bella impressione: sembri un alieno bianco, una di quelle inquietanti figure che vedi nei film su Cernobyl, ma sai che sei tu e che con te c’è una tua amica. Dobbiamo essere umani e proteggerci al contempo.
Speri che la persona cammini, così da farla scendere autonomamente, ma non è così, e chiaramente non c'è neanche l’ascensore.
Prendi i parametri, dai l’ossigeno, la fai sedere sulla “cardiologica” (ndr: una sedia per il trasporto), la porti giù a fatica, devi essere anche duro nel dire di non aggrapparsi mentre la trasportiamo. E in tutto questo le fai paura, così “bardato”. Ti fai paura anche da solo, hai paura, ma devi tranquillizzarla.
A sirene spiegate si arriva in pronto soccorso, ma non è ancora finita: devi comunicare con l’infermiere, capire il da farsi, aiutarlo a gestire la fase di triage che, in un momento come questo, è più che mai complessa e delicata.
Torni in sede ancora “bardato”, via radio l’autista dalla cabina di guida ci fa i complimenti per l’intervento e noi facciamo il nostro primo, stupido e ingenuo sorriso.
Scendiamo, ci inondando di soluzione alla candeggina, ci spogliamo in un ambiente «vietato ai puliti», come dice un cartello all’ingresso.
Aria.
Aria pura.
Aria senza mascherina, senza occhiali, senza tuta.
Sorridi.
C’è da sanificare l’ambulanza: candeggina ovunque, senza pietà. C’è da sostituire le bombole di ossigeno, c’è da cambiare i teli di protezione. Non so quanto ci abbiamo impiegato: mezz’ora? Forse anche qualcosa in più: dev’essere tutto perfettamente pulito, non contaminato.
Drin.
«Ragazzi, siete operativi?»
«Dimmi.»
«Un altro Covid.»
«Ma dai, abbiamo appena pulito tutto!»
Ci ridi su, ma sai che è una risata amara.
Cambio equipaggio, grazie al cielo.
Tornare a casa dopo un servizio del genere è brutto: i genitori sono preoccupati, tu sei stanco morto, sogni il letto e confidi di essere ancora sano.
---
Una cosa mi ha colpito del racconto di Alessandro: la vicinanza tra esseri umani che non è mai stata così intensa. La voce del centralino della centrale che si preoccupa per i ragazzi dell’ambulanza.
<< state attenti, proteggetevi>>, << mi raccomando>>. Cose non scontate. Siamo tutti una squadra.
Non dimentichiamocelo.
7 di Aprile …. Il canto delle "sirene" ….
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’
DIARIO DI BORDO – 7 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
UN ALTRO PUNTO DI VISTA
Caro diario, questa sera ti aspetta qualcosa che ancora non hai visto.
Per la prima volta (e non è detto sia l’ultima) ospito su queste pagine il contributo di un’altra persona che sta affrontando, con un punto di vista differente dal mio, l’emergenza COVID.
Lo scritto che segue mi ha colpito.
È schietto, sincero, va dritto al cuore. È il punto di vista di un giovane volontario soccorritore della Croce Rossa Italiana (comitato di Novara), si chiama Alessandro Buffelli . Ringrazio anche un altro volontario (CRI di Oleggio – Alessandro Mazzola) per avermi messo in contatto con autore del testo. Non posso dimenticare che proprio tra i volontari di Croce Rossa di Oleggio imparai ad amare quello che poi divenne il mio mestiere: prendersi cura, curare.
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Drin.
«Ciao. Ambulanza XXXX.»
«Ciao ragazzi, ho una bella grana per voi, scusatemi.»
«Tranquilla, dimmi.»
«Un Giallo, Covid.»
«Ok.»
«Salite in due. Mi raccomando, bardatevi bene.»
«Sì, tranquilla. Dove?»
«Via XXX, allarme delle ore XX»
«Oookay, ricevuto.»
«Mi raccomando, proteggetevi. Per qualsiasi cosa chiamateci. Buona fortuna…»
Di telefonate su quel cellulare ne ho prese tante, ma questa mi ha gelato.
Lo capisci dalla voce di chi ti fa uscire: una persona che non sa quale sia l’equipaggio, ma è preoccupata per te. È una voce dolce, ormai familiare, ma distrutta.
Non hai tempo per farti prendere dall’angoscia: è un giallo respiratorio, c’è da muoversi.
Solo che “muoversi” non è così facile: devi “bardarti”, devi metterti quella tuta XL bianca e plasticosa, con tre paia di guanti uno più spesso dell’altro, la mascherina “seria”, gli occhiali (sopra a quelli da vista) che si appannano, il cappuccio, i calzari, il nastro adesivo per sigillare la cerniera. Non è facile “bardarsi” bene, ma devi farlo in modo impeccabile, perché ne va della salute tua e di chi ti sta vicino, primi tra tutti i tuoi familiari.
Dopo dieci minuti ti richiama la centrale.
«Stai a vedere che è diventato un Rosso…»
E invece: «Ragazzi, a che punto siete? Tutto bene?»
«Sì, abbiamo appena finito di vestirci. Partiamo ora»
«Ok. Coraggio eh, in bocca al lupo! Se serve, siamo qui.»
Grazie, penso con una incredibile riconoscenza.
Sirene spiegate, si va. Viaggiare sull’ambulanza così “bardati” non è facile, ti manca il respiro, le curve sono prese veloci, soffri un po’. Ma non hai testa neanche per quello. Stai scacciando dalla testa il fatto che chi ti troverai davanti è un appestato: non è così.
Arrivi, prendi la radio, ti metti d’accordo con l’autista che si chiude in cabina.
Sali, ti trovi davanti il paziente coi familiari. È orribile, ma li vedi con le mascherine fuori posto e devi ordinare di sistemarle e di allontanarsi, di tenere un metro e anche più di distanza da te. Certo non fai una bella impressione: sembri un alieno bianco, una di quelle inquietanti figure che vedi nei film su Cernobyl, ma sai che sei tu e che con te c’è una tua amica. Dobbiamo essere umani e proteggerci al contempo.
Speri che la persona cammini, così da farla scendere autonomamente, ma non è così, e chiaramente non c'è neanche l’ascensore.
Prendi i parametri, dai l’ossigeno, la fai sedere sulla “cardiologica” (ndr: una sedia per il trasporto), la porti giù a fatica, devi essere anche duro nel dire di non aggrapparsi mentre la trasportiamo. E in tutto questo le fai paura, così “bardato”. Ti fai paura anche da solo, hai paura, ma devi tranquillizzarla.
A sirene spiegate si arriva in pronto soccorso, ma non è ancora finita: devi comunicare con l’infermiere, capire il da farsi, aiutarlo a gestire la fase di triage che, in un momento come questo, è più che mai complessa e delicata.
Torni in sede ancora “bardato”, via radio l’autista dalla cabina di guida ci fa i complimenti per l’intervento e noi facciamo il nostro primo, stupido e ingenuo sorriso.
Scendiamo, ci inondando di soluzione alla candeggina, ci spogliamo in un ambiente «vietato ai puliti», come dice un cartello all’ingresso.
Aria.
Aria pura.
Aria senza mascherina, senza occhiali, senza tuta.
Sorridi.
C’è da sanificare l’ambulanza: candeggina ovunque, senza pietà. C’è da sostituire le bombole di ossigeno, c’è da cambiare i teli di protezione. Non so quanto ci abbiamo impiegato: mezz’ora? Forse anche qualcosa in più: dev’essere tutto perfettamente pulito, non contaminato.
Drin.
«Ragazzi, siete operativi?»
«Dimmi.»
«Un altro Covid.»
«Ma dai, abbiamo appena pulito tutto!»
Ci ridi su, ma sai che è una risata amara.
Cambio equipaggio, grazie al cielo.
Tornare a casa dopo un servizio del genere è brutto: i genitori sono preoccupati, tu sei stanco morto, sogni il letto e confidi di essere ancora sano.
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Una cosa mi ha colpito del racconto di Alessandro: la vicinanza tra esseri umani che non è mai stata così intensa. La voce del centralino della centrale che si preoccupa per i ragazzi dell’ambulanza.
<< state attenti, proteggetevi>>, << mi raccomando>>. Cose non scontate. Siamo tutti una squadra.
Non dimentichiamocelo.
7 di Aprile …. Il canto delle "sirene" ….
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’