Vercelli 25 APRILE 2020
DIARIO DI BORDO – 24 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
LO ZEN E L’ARTE DEI PUNTI NERI
Un punto nero.
Un’increspatura nella perfezione del bianco che lo circonda.
Se mi avvicinassi di più probabilmente il punto nero diverrebbe una piccola crepa, o una macchia di un qualche liquido o ancora un piccolo chiodino.
Ma non sono vicino.
Dalla mia posizione, complice occhiali e visiera graffiata dai tanti lavaggi alcolici, resta un punto informe, sfuocato.
Un qualcosa di indefinito che racchiude infinite potenzialità.
Ho perso la percezione del tempo.
Chiuso nello “scafandro” tipico da area COVID, senza orologio, senza telefono, vivo nel presente, istante per istante.
Nemmeno mi sono accorto che, quasi per simpatia, il mio respiro si è sincronizzato con quello del paziente che si trova alla mia destra.
Il suo è un respiro pesante, complesso. Un respiro aiutato dalla c-PAP, una maschera che aiuta il paziente a ridurre il suo sforzo respiratorio evitando, quando possibile, metodi di ventilazione più aggressivi.
La frequenza del respiro del paziente è rapida, troppo per me che saturando bene mi accontenterei di respirare con più tranquillità.
Mi concentro dunque sul respiro e recupero il mio ritmo.
Certo questa azione mi ha definitivamente distratto dal punto nero. Sino a pochi istanti prima era il perno del mio nuovo universo. Ora devo cercare un nuovo centro di gravità.
Per spiegare il motivo della mia apparente inattività, e soprattutto degli esercizi di rilassamento che sto mettendo in atto, bisogna fare un passo indietro.
Abbiamo già visto insieme le complesse procedure di vestizione (“L’abito non fa il monaco, pagina del 16 Marzo).
È evidente che una volta cambiati e posizionati in area “sporca” non si esce sino a quando non si è finito tutto il giro. Uscire vorrebbe dire svestizione e rivestizione con un dispendio di DPI (dispositivi di protezione tutti usa e getta) che non possiamo certo permetterci di questi tempi.
Dunque eccomi qui. Bloccato.
Sono in attesa che arrivi un ecografo dall’altra terapia intensiva. In tempi normali una procedura semplice. In tempi COVID una procedura che richiede sanificazione, protezione, trasporto attraverso percorsi non ordinari.
Il tempo si dilata.
Si resta soli con sé stessi in un mondo ovattato. Fuori dalla stanza il mondo pulito con il quale ora non posso comunicare, pochi metri che sembrano spazi siderali.
Due ventilatori nella stanza, sono loro ora il mio centro di gravità.
Numeri e grafici sui loro monitor: PS, PEEP, volumi inspiratori e respiratori. FiO2.
Allarmi.
Respiri.
Un’altalena di aria in entrata e in uscita, uno spirito vitale che riempie la stanza. E con lo spirito vitale anche lui, il “corona”, trasportato in minuscole goccioline d’acqua nebulizzata, invisibile. Tra me e lui strati di plastica, tessuto, visiera, 2 maschere. Un confine che, quando disponibile e ben piazzato, non può valicare.
Nella stanza una luce che non sa né di giorno né di notte.
Tornano alla mente sensazioni di molti anni fa quando, per gli strani bivi che il destino ti pone di fronte, mi trovai ad attraversare il circolo polare artico.
Quel sole di mezzanotte indefinibile, opaco, quelle ore una uguale all’altra in un flusso continuo di tempo senza più distinzioni in minuti, ore, giorni.
Quelle foto che al rientro mostravi agli amici senza sapere se fossero scattate al mattino, sera, notte.
Quei pasti sempre uguali con sardine distribuite a intervalli di 8 ore circa.
Un universo fuori dal tempo.
Così deve essere l’universo dei due pazienti che dividono la stanza con me in questo momento. Un universo temporaneamente congelato, immobile.
Eppure, pochi metri fuori, il tempo riprende a scorrere, il giorno e la notte ad alternarsi.
<< Forza >> (rivolto a loro pur sapendo che non possono sentirmi) << un respiro dopo l’altro>> a piccoli passi.
Le terapie si affinano, le ventilazioni fanno il loro lavoro. Abbiate fiducia.
Una porta si apre e sento un altro “respiro”, quello della pressione negativa della stanza.
Entra l’ecografo.
Si lavora, sino alla prossima pausa. E quasi attendo di nuovo il momento in cui sarò nuovamente solo, immerso nei respiri, nel silenzio, tra i ventilatori i muri bianchi e i punti neri.
E se qualcuno fosse curioso, alla fine, di sapere cosa fosse quel punto nero? Non lo sapremo mai. L’ho perso, cercato, non più ritrovato, forse è stato solo un sogno di un’istante.
24 di Aprile …. Cerco un centro di gravità permanente ….
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’