Vercelli 19 APRILE 2020
DIARIO DI BORDO – 18 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
IL VOLO
Capita a volte che alla mente si affaccino ricordi che apparentemente (o superficialmente) nulla hanno a che vedere con il momento presente.
Immagini, colori, suoni e odori aperti come un file cliccato per errore.
A quel punto possiamo ignorare, possiamo biasimare il nostro cervello per quell’attimo di distrazione. Oppure possiamo fermarci, aguzzare la vista, mettere a fuoco quel ricordo e pensare, dopotutto, che se è stato selezionato in quell’istante tra altri mille deve esserci una ragione, sottile magari, ma pur sempre una relazione di causa ed effetto.
Come capita a volte facendo ricerche su Google. Si cerca qualcosa e si trovano correlazioni o risultati inaspettati.
Così accade stamane (NdR: l’evento si riferisce a qualche giorno fa) mentre, in piedi di fronte al letto tra ventilatore ed elettrocardiografo, attendo degli elettrodi.
E più il tempo (imprecisato e non misurabile all’epoca del COVID) trascorre, più la mente vola, lontano dalle barriere fisiche, dalle costrizioni.
Il mio “Google” lavora ed apre un file.
Negli occhi una foto scattata tanti anni orsono a Berlino. Era un viaggio di lavoro ma nel tempo tra un meeting e l’altro attraversai le molte città di cui Berlino è composta, un puzzle di colori, storia, sofferenza e speranza.
Lasciato alle spalle ciò che restava del Checkpoint Charlie ed il suo confine invisibile, risali lungo Zimmerstrasse, poi voltai. Ricordo un edificio austero, rettangolare, mattoni rossi, grate arrugginite alle finestre. Difficile capire se fosse un vecchio edificio industriale o se fosse ad uso abitativo. Ora era abbandonato, forse in attesa di demolizione. Berlino offriva (ed offre credo ancora) questi accostamenti, questi contrasti tra usura e splendore, ricordi di un’epoca di rovina e monumenti alla rinascita.
Non ricordo come arrivai al muro. IL MURO. Uno dei pochi tratti oggi rimasti e non cannibalizzati dalla città.
Cemento, ferro, ruggine e scritte usurate dal tempo. Simbolo di prigionia, di isolamento, di consunzione.
Fui inizialmente sopraffatto dal senso di oppressione che ancora emanava dalla materia inerte di fronte a me. Poi alzai gli occhi. E vidi, nel cielo solcato da nubi bianche e vaporose, un pallone aerostatico legato alla terra da un lungo cordone ombelicale. Svettava con il suo azzurro colore del cielo sopra le miserie dell’uomo. Scattai la foto quasi d’istinto.
Di migliaia di foto scattate in vita mia questa è quella cui sono sempre stato affezionato, racconta, parla, racchiude tutto il male ed il bene di cui l’uomo è capace.
Ora, in quella stanza tra ventilatori e monitor quella foto ha preso vita di fronte a me.
Perché?
La soluzione è semplice.
Come quel giorno a Berlino alzai lo sguardo e cambiai prospettiva, così faccio ora.
Sopra il letto, oltre la finestra, splende il sole di un Aprile caldo e deserto.
Ecco cosa ho visto: un letto (il muro) ed un sole fuori (il pallone, il volo).
E non posso non pensare che di fronte al muro (la malattia, il COVID) vedremo innalzarsi molti palloni.
Sapremo volare più in alto. Ogni giorno che passa impariamo a volare più alto.
Ed ogni respiro che migliora ci avvicina a quel cielo che non potrò dimenticare della Berlino di tanti anni fa.
Abbiamo superato e demolito tanti muri nella storia, sapremo superare anche questo e già ci stiamo staccando da terra.
18 di Aprile …. Vento da Nord, spieghiamo le vele …
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’
DIARIO DI BORDO – 18 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
IL VOLO
Capita a volte che alla mente si affaccino ricordi che apparentemente (o superficialmente) nulla hanno a che vedere con il momento presente.
Immagini, colori, suoni e odori aperti come un file cliccato per errore.
A quel punto possiamo ignorare, possiamo biasimare il nostro cervello per quell’attimo di distrazione. Oppure possiamo fermarci, aguzzare la vista, mettere a fuoco quel ricordo e pensare, dopotutto, che se è stato selezionato in quell’istante tra altri mille deve esserci una ragione, sottile magari, ma pur sempre una relazione di causa ed effetto.
Come capita a volte facendo ricerche su Google. Si cerca qualcosa e si trovano correlazioni o risultati inaspettati.
Così accade stamane (NdR: l’evento si riferisce a qualche giorno fa) mentre, in piedi di fronte al letto tra ventilatore ed elettrocardiografo, attendo degli elettrodi.
E più il tempo (imprecisato e non misurabile all’epoca del COVID) trascorre, più la mente vola, lontano dalle barriere fisiche, dalle costrizioni.
Il mio “Google” lavora ed apre un file.
Negli occhi una foto scattata tanti anni orsono a Berlino. Era un viaggio di lavoro ma nel tempo tra un meeting e l’altro attraversai le molte città di cui Berlino è composta, un puzzle di colori, storia, sofferenza e speranza.
Lasciato alle spalle ciò che restava del Checkpoint Charlie ed il suo confine invisibile, risali lungo Zimmerstrasse, poi voltai. Ricordo un edificio austero, rettangolare, mattoni rossi, grate arrugginite alle finestre. Difficile capire se fosse un vecchio edificio industriale o se fosse ad uso abitativo. Ora era abbandonato, forse in attesa di demolizione. Berlino offriva (ed offre credo ancora) questi accostamenti, questi contrasti tra usura e splendore, ricordi di un’epoca di rovina e monumenti alla rinascita.
Non ricordo come arrivai al muro. IL MURO. Uno dei pochi tratti oggi rimasti e non cannibalizzati dalla città.
Cemento, ferro, ruggine e scritte usurate dal tempo. Simbolo di prigionia, di isolamento, di consunzione.
Fui inizialmente sopraffatto dal senso di oppressione che ancora emanava dalla materia inerte di fronte a me. Poi alzai gli occhi. E vidi, nel cielo solcato da nubi bianche e vaporose, un pallone aerostatico legato alla terra da un lungo cordone ombelicale. Svettava con il suo azzurro colore del cielo sopra le miserie dell’uomo. Scattai la foto quasi d’istinto.
Di migliaia di foto scattate in vita mia questa è quella cui sono sempre stato affezionato, racconta, parla, racchiude tutto il male ed il bene di cui l’uomo è capace.
Ora, in quella stanza tra ventilatori e monitor quella foto ha preso vita di fronte a me.
Perché?
La soluzione è semplice.
Come quel giorno a Berlino alzai lo sguardo e cambiai prospettiva, così faccio ora.
Sopra il letto, oltre la finestra, splende il sole di un Aprile caldo e deserto.
Ecco cosa ho visto: un letto (il muro) ed un sole fuori (il pallone, il volo).
E non posso non pensare che di fronte al muro (la malattia, il COVID) vedremo innalzarsi molti palloni.
Sapremo volare più in alto. Ogni giorno che passa impariamo a volare più alto.
Ed ogni respiro che migliora ci avvicina a quel cielo che non potrò dimenticare della Berlino di tanti anni fa.
Abbiamo superato e demolito tanti muri nella storia, sapremo superare anche questo e già ci stiamo staccando da terra.
18 di Aprile …. Vento da Nord, spieghiamo le vele …
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’