Vercelli 16 APRILE 2020
DIARIO DI BORDO – 15 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
IL GIUNCO E LA QUERCIA
<< Si piega il giunco / ai richiami d’amore / d’un vento audace >>
Haiku – autore ignoto giapponese
Fine guardia.
Quei minuti che precedono le 20.00.
La mente torna ai tempi delle scuole primarie quando tamburellando con le dita sul banco di legno compensato si attendeva il suono della campanella. Un suono che annunciava libertà, aria, cieli aperti. Un suono che sapeva di pasta al pesto, di spaghetti al pomodoro. Un suono che rimandava un’eco di grida, di risate, di calpestio di decine di piccole scarpe giù a rotta di collo per le scale.
Ora si aspetta il collega che prenda il testimone.
Ieri sera mentre attendevo di sentire i rumori di passi lungo il corridoio un altro suono catturò la mia attenzione: un lungo fischio, un lamento.
In rapida successione al lamento seguì un forte colpo.
Vento.
<<Avevano annunciato venti di Bora>> ricordai.
L’aria si incuneava a forza tra i vecchi infissi e intercapedini ormai sconosciute ai più, anche ai manutentori stessi.
Il nostro caro vecchio ospedale ha vissuto anni di gloria, uno dei più belli d’Italia alla sua costruzione. Ora mostra tutta la stanchezza degli anni. Tra queste mura ha visto nascere, ha visto morire, ha assistito a grandi felicità ed immense tristezze. Ha vissuto la vita di migliaia di uomini e donne che hanno cercato qui riparo e conforto dalle intemperie della malattia.
Ed oggi al vecchio edificio tocca vivere il tumultuoso terremoto del COVID. I suoi spazi non sono mai cambiati così rapidamente. Lui stesso fatica a riconoscersi.
Il cambiamento. E il vento.
Ragionavo su questo ieri sera attendendo il collega.
Fuori dalla finestra alberi alti, maestosi resistevano fieri al vento di Bora.
Alla base degli alberi alcuni cespugli ed alcuni steli che ricordano flebili giunchi.
Il vento attraversava i giunchi con impeto travolgente, li scuoteva, li piegava.
I giunchi oscillavano, si chinavano al suo passaggio, si rialzavano e si abbassavano nuovamente in una danza ritmata e solo apparentemente scomposta.
Gli alberi invece resistevano fieri e indomiti.
<< Ecco come affronterebbe un albero questa crisi che ci sta travolgendo. Vorrei essere un albero. >>
Così pensavo, assorto, in quei momenti.
Seguì lo scambio di consegne con il collega, terapie, quadri clinici, cose da fare durante la notte. Ed il passaggio di mano del telefono (ovviamente disinfettato).
Mi diressi verso la macchina parcheggiata nel cortile vicino agli alberi e d’improvviso accadde.
Un rumore sordo. Poi a pochi metri, con la coda dell’occhio, la percezione di un rapido movimento.
Un ramo di grosse dimensioni si era distaccato, spezzato dal vento era precipitato rovinosamente al suolo. Niente di grave, era caduto in una zona libera, lontano dalle auto.
Mi avvicinai ad osservare il ramo. Legno duro, massiccio. Eppure, aveva ceduto al vento, era crollato di fronte alla crisi. Totalmente ignaro del concetto di elasticità aveva resistito, senza scomporsi, sino al punto di rottura.
Li a pochi metri giaceva uno dei cespugli i cui giunchi osservavo prima dalla finestra.
Oscillavano, si piegavano. Reagivano al vento con una leggiadria percettibile solo osservandoli da vicino.
Non si opponevano al vento, lo cavalcavano, come un surfista navigato sull’increspatura schiumosa dell’onda più alta. Si adattavano secondo per secondo alle sue bizze.
Le mie certezze su come affrontare il COVID e il futuro del mondo che verrà si infrangevano su quel cespuglio.
La strategia vincente non era quella dell’albero, era quella del giunco.
Opporsi all’inevitabile a tutti i costi, resistere, restare rigidi non poteva portare nulla di buono.
Adattarsi, imparare, assecondare la corrente era la soluzione.
Lo stiamo facendo. Su queste pagine ho raccontato come molti di noi si sono re-inventati un mestiere. Dentro e fuori gli ospedali.
Possiamo scegliere se farci travolgere da tutto questo, ostinarci a voler indietro il mondo di prima sbattendo la testa contro muri invisibili.
Oppure prepararci a danzare con il vento. Inventarci, rinascere, costruire qualcosa di diverso.
Molti dovranno farlo. Dal ristoratore, al proprietario di locali, al gestore di una spiaggia, all’insegnante, all’estetista, al medico, all’imprenditore.
Non rimpiangiamo, progettiamo. Cerchiamo di non essere muratori ostinati nel voler restaurare un muro ormai diroccato, cerchiamo di essere architetti che ne costruiscono uno nuovo.
Scegliamo di non essere alberi.
Scegliamo di essere giunchi.
15 di Aprile …. Come canne al vento ….
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’
DIARIO DI BORDO – 15 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
IL GIUNCO E LA QUERCIA
<< Si piega il giunco / ai richiami d’amore / d’un vento audace >>
Haiku – autore ignoto giapponese
Fine guardia.
Quei minuti che precedono le 20.00.
La mente torna ai tempi delle scuole primarie quando tamburellando con le dita sul banco di legno compensato si attendeva il suono della campanella. Un suono che annunciava libertà, aria, cieli aperti. Un suono che sapeva di pasta al pesto, di spaghetti al pomodoro. Un suono che rimandava un’eco di grida, di risate, di calpestio di decine di piccole scarpe giù a rotta di collo per le scale.
Ora si aspetta il collega che prenda il testimone.
Ieri sera mentre attendevo di sentire i rumori di passi lungo il corridoio un altro suono catturò la mia attenzione: un lungo fischio, un lamento.
In rapida successione al lamento seguì un forte colpo.
Vento.
<<Avevano annunciato venti di Bora>> ricordai.
L’aria si incuneava a forza tra i vecchi infissi e intercapedini ormai sconosciute ai più, anche ai manutentori stessi.
Il nostro caro vecchio ospedale ha vissuto anni di gloria, uno dei più belli d’Italia alla sua costruzione. Ora mostra tutta la stanchezza degli anni. Tra queste mura ha visto nascere, ha visto morire, ha assistito a grandi felicità ed immense tristezze. Ha vissuto la vita di migliaia di uomini e donne che hanno cercato qui riparo e conforto dalle intemperie della malattia.
Ed oggi al vecchio edificio tocca vivere il tumultuoso terremoto del COVID. I suoi spazi non sono mai cambiati così rapidamente. Lui stesso fatica a riconoscersi.
Il cambiamento. E il vento.
Ragionavo su questo ieri sera attendendo il collega.
Fuori dalla finestra alberi alti, maestosi resistevano fieri al vento di Bora.
Alla base degli alberi alcuni cespugli ed alcuni steli che ricordano flebili giunchi.
Il vento attraversava i giunchi con impeto travolgente, li scuoteva, li piegava.
I giunchi oscillavano, si chinavano al suo passaggio, si rialzavano e si abbassavano nuovamente in una danza ritmata e solo apparentemente scomposta.
Gli alberi invece resistevano fieri e indomiti.
<< Ecco come affronterebbe un albero questa crisi che ci sta travolgendo. Vorrei essere un albero. >>
Così pensavo, assorto, in quei momenti.
Seguì lo scambio di consegne con il collega, terapie, quadri clinici, cose da fare durante la notte. Ed il passaggio di mano del telefono (ovviamente disinfettato).
Mi diressi verso la macchina parcheggiata nel cortile vicino agli alberi e d’improvviso accadde.
Un rumore sordo. Poi a pochi metri, con la coda dell’occhio, la percezione di un rapido movimento.
Un ramo di grosse dimensioni si era distaccato, spezzato dal vento era precipitato rovinosamente al suolo. Niente di grave, era caduto in una zona libera, lontano dalle auto.
Mi avvicinai ad osservare il ramo. Legno duro, massiccio. Eppure, aveva ceduto al vento, era crollato di fronte alla crisi. Totalmente ignaro del concetto di elasticità aveva resistito, senza scomporsi, sino al punto di rottura.
Li a pochi metri giaceva uno dei cespugli i cui giunchi osservavo prima dalla finestra.
Oscillavano, si piegavano. Reagivano al vento con una leggiadria percettibile solo osservandoli da vicino.
Non si opponevano al vento, lo cavalcavano, come un surfista navigato sull’increspatura schiumosa dell’onda più alta. Si adattavano secondo per secondo alle sue bizze.
Le mie certezze su come affrontare il COVID e il futuro del mondo che verrà si infrangevano su quel cespuglio.
La strategia vincente non era quella dell’albero, era quella del giunco.
Opporsi all’inevitabile a tutti i costi, resistere, restare rigidi non poteva portare nulla di buono.
Adattarsi, imparare, assecondare la corrente era la soluzione.
Lo stiamo facendo. Su queste pagine ho raccontato come molti di noi si sono re-inventati un mestiere. Dentro e fuori gli ospedali.
Possiamo scegliere se farci travolgere da tutto questo, ostinarci a voler indietro il mondo di prima sbattendo la testa contro muri invisibili.
Oppure prepararci a danzare con il vento. Inventarci, rinascere, costruire qualcosa di diverso.
Molti dovranno farlo. Dal ristoratore, al proprietario di locali, al gestore di una spiaggia, all’insegnante, all’estetista, al medico, all’imprenditore.
Non rimpiangiamo, progettiamo. Cerchiamo di non essere muratori ostinati nel voler restaurare un muro ormai diroccato, cerchiamo di essere architetti che ne costruiscono uno nuovo.
Scegliamo di non essere alberi.
Scegliamo di essere giunchi.
15 di Aprile …. Come canne al vento ….
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’