.Vercelli 7 APRILE 2020
DIARIO DI BORDO – 6 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
IL VIAGGIO
<< la vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo >> (Fernando Pessoa – Il libro dell’inquietudine)
<< E non c’è niente di più bello dell’istante che precede il viaggio, l’istante in cui l’orizzonte del domani viene a renderci visita e a raccontarci le sue promesse>> (Milan Kundera – La vita è altrove)
“Stringo il pugno.
Poi con estrema accortezza lo rilascio lentamente.
Osservo i primi granelli scorrere verso la parte inferiore del palmo e iniziare la caduta verso terra, come in una grande clessidra.
Un leggerissimo, quasi impercettibile, ticchettio testimonia la fine del loro viaggio dalla mia mano alla superficie della spiaggia. È calda al tatto ma ancora umida, segno della notte appena trascorsa che il timido albeggiare ha appena sostituito. La caduta dei granelli non è verticale. Compiono al contrario una traiettoria quasi parabolica. È colpa di una leggera brezza che gioca a contrastare la forza di gravità.
Un’aria lieve sfiora il viso. Un viso libero da maschere, di qualsiasi tipo.
Ad occhi chiusi l’abbraccio del sole nascente e la carezza dell’aria sono piccoli momenti d’estasi ai quali si aggiunge, come una melodia di sottofondo, il lento e regolare infrangersi delle onde a pochi metri, sotto gli scogli su cui sono seduto.
E la felicità è tutta lì un granello di sabbia, una schiuma d’onda, un alito di vento, un raggio solare.
Null’altro.
D’un tratto la spiaggia comincia a tremare, vibra. Il cielo si rabbuia. Il mare si ferma”
E sono costretto ad aprire gli occhi.
Sul visore del cellulare compare “CORSIA”. L’orologio segna le 3.50, è tutto buio, fuori. Attorno a me le 4 pareti della sala medici. Altra notte di guardia.
<< Arriva un ECG da refertare da area COVID >> avverte una voce sottile dall’altra parte.
ECG da area COVID. Un ECG imbustato, da trattare con i guanti. Lo porta un operatore avvolto da una tuta, maschera, occhiali. Se incontrassi questa persona tra poche ore tornando a casa non la potrei riconoscere. Siamo ombre nella notte.
Prima di riprendermi dal torpore stavo viaggiando.
Se penso all’idea di viaggio che avevo e che, penso, molti di noi avevano sino a due mesi fa, la mente si perde in immagini di luoghi esotici, luoghi carichi di storia e di fascino, meraviglie naturalistiche. Osservo il proiettore illuminare lo schermo bianco con istantanee di palme e spiagge di bianco cristallino, vette innevate che fanno capolino tra greggi di nuvole vaporose, guglie di cattedrali gotiche innalzarsi su vecchi quartieri dal sapore medioevale persistente.
Il viaggio era anche un mezzo per viaggiare dentro noi stessi. Lasciando le nostre radici, spiccando il volo. Più lontano si andava più il distacco dalla vita quotidiana permetteva di osservare la nostra esistenza e fare bilanci, progetti.
Pensiamo per un attimo di trovarci di fronte ad una tela di grandi proporzioni. Un affresco che occupa un’intera parete. Noi ci troviamo con il naso premuto contro la sua superficie rugosa, pochi centimetri tra i nostri occhi e la superficie.
Possiamo osservare da quella posizione solo qualche pennellata, percepire qualche tonalità di colore. Con la visione laterale, sforzando un po’ i muscoli oculari, possiamo intravedere, in modo sfuocato, una parte dell’insieme. Ma è un’immagine nebulosa, una foschia pervade il tutto.
Se ad un tratto stacchiamo il naso dalla parete e facciamo 5 passi indietro tutto diventa più chiaro. A 5 passi di distanza l’affresco non è un insieme di pennellate. E’ un’idea, un progetto, una storia raccontata.
Ecco cosa era il viaggio per me ai tempi pre-corona. La possibilità di vedere l’affresco (la vita) da lontano. Capirne o cercare di capirne il senso e imprimerne l’immagine nella mente per non dimenticarla, una volta tornato con il naso contro il muro.
Poi è arrivato il corona. Viaggiare è diventato e diventerà per un tempo non breve, una chimera.
Ma possiamo viaggiare in tanti modi. E se Pessoa ci insegna che il viaggio, alla fine, siamo noi è alla frase di Milan Kundera che mi ancoro in questo momento: l’istante più bello è quello che precede il viaggio. Le attese, le aspettative, la progettazione del viaggio.
Allora progettiamo, immaginiamo quei viaggi che ci attendono.
E se l’attesa dovesse essere lunga basterà chiudere gli occhi per essere su quella spiaggia a contare i granelli di sabbia.
6 di Aprile … in carrozza signori, si parte
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’
DIARIO DI BORDO – 6 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
IL VIAGGIO
<< la vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo >> (Fernando Pessoa – Il libro dell’inquietudine)
<< E non c’è niente di più bello dell’istante che precede il viaggio, l’istante in cui l’orizzonte del domani viene a renderci visita e a raccontarci le sue promesse>> (Milan Kundera – La vita è altrove)
“Stringo il pugno.
Poi con estrema accortezza lo rilascio lentamente.
Osservo i primi granelli scorrere verso la parte inferiore del palmo e iniziare la caduta verso terra, come in una grande clessidra.
Un leggerissimo, quasi impercettibile, ticchettio testimonia la fine del loro viaggio dalla mia mano alla superficie della spiaggia. È calda al tatto ma ancora umida, segno della notte appena trascorsa che il timido albeggiare ha appena sostituito. La caduta dei granelli non è verticale. Compiono al contrario una traiettoria quasi parabolica. È colpa di una leggera brezza che gioca a contrastare la forza di gravità.
Un’aria lieve sfiora il viso. Un viso libero da maschere, di qualsiasi tipo.
Ad occhi chiusi l’abbraccio del sole nascente e la carezza dell’aria sono piccoli momenti d’estasi ai quali si aggiunge, come una melodia di sottofondo, il lento e regolare infrangersi delle onde a pochi metri, sotto gli scogli su cui sono seduto.
E la felicità è tutta lì un granello di sabbia, una schiuma d’onda, un alito di vento, un raggio solare.
Null’altro.
D’un tratto la spiaggia comincia a tremare, vibra. Il cielo si rabbuia. Il mare si ferma”
E sono costretto ad aprire gli occhi.
Sul visore del cellulare compare “CORSIA”. L’orologio segna le 3.50, è tutto buio, fuori. Attorno a me le 4 pareti della sala medici. Altra notte di guardia.
<< Arriva un ECG da refertare da area COVID >> avverte una voce sottile dall’altra parte.
ECG da area COVID. Un ECG imbustato, da trattare con i guanti. Lo porta un operatore avvolto da una tuta, maschera, occhiali. Se incontrassi questa persona tra poche ore tornando a casa non la potrei riconoscere. Siamo ombre nella notte.
Prima di riprendermi dal torpore stavo viaggiando.
Se penso all’idea di viaggio che avevo e che, penso, molti di noi avevano sino a due mesi fa, la mente si perde in immagini di luoghi esotici, luoghi carichi di storia e di fascino, meraviglie naturalistiche. Osservo il proiettore illuminare lo schermo bianco con istantanee di palme e spiagge di bianco cristallino, vette innevate che fanno capolino tra greggi di nuvole vaporose, guglie di cattedrali gotiche innalzarsi su vecchi quartieri dal sapore medioevale persistente.
Il viaggio era anche un mezzo per viaggiare dentro noi stessi. Lasciando le nostre radici, spiccando il volo. Più lontano si andava più il distacco dalla vita quotidiana permetteva di osservare la nostra esistenza e fare bilanci, progetti.
Pensiamo per un attimo di trovarci di fronte ad una tela di grandi proporzioni. Un affresco che occupa un’intera parete. Noi ci troviamo con il naso premuto contro la sua superficie rugosa, pochi centimetri tra i nostri occhi e la superficie.
Possiamo osservare da quella posizione solo qualche pennellata, percepire qualche tonalità di colore. Con la visione laterale, sforzando un po’ i muscoli oculari, possiamo intravedere, in modo sfuocato, una parte dell’insieme. Ma è un’immagine nebulosa, una foschia pervade il tutto.
Se ad un tratto stacchiamo il naso dalla parete e facciamo 5 passi indietro tutto diventa più chiaro. A 5 passi di distanza l’affresco non è un insieme di pennellate. E’ un’idea, un progetto, una storia raccontata.
Ecco cosa era il viaggio per me ai tempi pre-corona. La possibilità di vedere l’affresco (la vita) da lontano. Capirne o cercare di capirne il senso e imprimerne l’immagine nella mente per non dimenticarla, una volta tornato con il naso contro il muro.
Poi è arrivato il corona. Viaggiare è diventato e diventerà per un tempo non breve, una chimera.
Ma possiamo viaggiare in tanti modi. E se Pessoa ci insegna che il viaggio, alla fine, siamo noi è alla frase di Milan Kundera che mi ancoro in questo momento: l’istante più bello è quello che precede il viaggio. Le attese, le aspettative, la progettazione del viaggio.
Allora progettiamo, immaginiamo quei viaggi che ci attendono.
E se l’attesa dovesse essere lunga basterà chiudere gli occhi per essere su quella spiaggia a contare i granelli di sabbia.
6 di Aprile … in carrozza signori, si parte
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’