Vercelli 9 aprile 2020
DIARIO DI BORDO – 8 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
LA LEZIONE (Parte 1 di 2)
Caro diario,
questo pomeriggio mi permetto alcune righe più “razionali” e meno “emozionali”.
Credo sia importante , a distanza ormai di un mese dall’inizio della nuova era capire alcune cose:
- cosa abbiamo sbagliato (PARTE 1)
- cosa rischiamo di sbagliare ancora (PARTE 2)
- cosa non dobbiamo sbagliare per il futuro (PARTE 2)
Ndr: Tanto da dire, allora per non stancare troppo i lettori della “Compagnia del Diario” dividiamo in due puntate.
PARTE 1: COSA ABBIAMO SBAGLIATO
Non abbiamo capito in tempo.
La Cina era qualcosa di lontano geograficamente e culturalmente parlando.
Un mondo ancora chiuso, notizie filtrate, controllate.
Come tentare di osservare una enorme stanza dagli alti soffitti attraverso il buco di una sottile serratura. Si ha per forze di cose una visione ristretta, si possono tentare stime, ma non sapremo mai come è veramente quella stanza.
Abbiamo espresso scetticismo sin dall’inizio circa le notizie, i dati, i numeri dell’epidemia cinese.
Abbiamo guardato alla quarantena militare cinese con gli occhi giudicanti di chi vive in democrazie sicure, avvolgenti. Mai dalle nostre parti sarebbe sceso l’esercito nelle strade.
Abbiamo guardato con invidia ed ammirazione costruire un ospedale di migliaia di posti letto in 10 giorni. Cose dell’altro mondo, si diceva.
Si diceva anche che in Cina l’epidemia avesse colpito così duramente per le condizioni igieniche soprattutto nei sobborghi delle grandi megalopoli, la povertà, la commistione tra uomo e animale.
Da noi sarebbe andata diversamente.
Noi avevamo un tessuto sociale, sanitario e di igiene ben diverso (ah quante illusioni ci siamo fatti!).
Non abbiamo creduto ai numeri quando l’epidemia cresceva in Cina. Si pensava fossero maggiori ma nascosti dal controllo del governo sui mass media.
Eppure, guardate come è strano l’animo umano, appena dalla Cina sono arrivati segnali di disgelo, appena hanno affermato di aver raggiunto il picco, appena hanno detto che si poteva allentare la quarantena gli abbiamo creduto subito. Avevamo bisogno di credere. Credere che effettivamente non era poi la tragedia che si temeva.
Avevamo bisogno di credere che potevamo non interessarci di questo problema, che ci avrebbe solo sfiorati.
Sui TG e nei salotti televisivi (e siamo a fine febbraio) illustri virologi (che oggi si ergono a paladini della lotta contro il coronavirus) ci rassicuravano insieme al ministro della salute che da noi sarebbe stata poco più di un’influenza normale (che sensazione rivedere ora quei filmati).
E su questo errore, questo cullarsi sulla nostra presunta forza sanitaria, su una presunta invulnerabilità dei sistemi occidentali, su tutto questo siamo franati.
L’onda ci ha preso in pieno. La Lombardia è caduta per prima e con una velocità sorprendente.
Il sistema sanitario non era pronto, le istituzioni non erano partite per tempo a fare incetta di DPI (Dispositivi di Protezione), ed a emergenza scoppiata si sono accorti che tutti, nel mondo, li cercavano disperatamente.
Così i primi ad ammalarsi e ad essere fonte di contagio sono stati proprio i sanitari.
Non abbiamo inoltre compreso sin da subito che c’erano due campi di battaglia.
Uno negli ospedali e uno fuori. La gestione e il modello italiano di assistenza sul territorio era evidentemente non preparo ad affrontare una crisi di questa portata e questo ha consentito il diffondersi di focolaio incontrollati soprattutto in paesi o strutture ad alta concentrazione di pazienti anziani e fragili.
Abbiamo sbagliato tanto.
Poi ci siamo rialzati. Abbiamo costruito anche noi ospedali in 10 giorni.
Abbiamo fatto il punto e siamo ripartiti. Ora è importante NON ripetere gli errori. Imparare la lezione. Rischiamo di sbagliare ancora?
Ora è tardi. La mano sulla tastiera stanca. Ne riparliamo domani, a mente fresca.
Domani parleremo di cosa rischiamo di sbagliare ancora e di cosa dobbiamo fare per non sbagliare in futuro.
8 di Aprile … alla lavagna, interroghiamo ….
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’
DIARIO DI BORDO – 8 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
LA LEZIONE (Parte 1 di 2)
Caro diario,
questo pomeriggio mi permetto alcune righe più “razionali” e meno “emozionali”.
Credo sia importante , a distanza ormai di un mese dall’inizio della nuova era capire alcune cose:
- cosa abbiamo sbagliato (PARTE 1)
- cosa rischiamo di sbagliare ancora (PARTE 2)
- cosa non dobbiamo sbagliare per il futuro (PARTE 2)
Ndr: Tanto da dire, allora per non stancare troppo i lettori della “Compagnia del Diario” dividiamo in due puntate.
PARTE 1: COSA ABBIAMO SBAGLIATO
Non abbiamo capito in tempo.
La Cina era qualcosa di lontano geograficamente e culturalmente parlando.
Un mondo ancora chiuso, notizie filtrate, controllate.
Come tentare di osservare una enorme stanza dagli alti soffitti attraverso il buco di una sottile serratura. Si ha per forze di cose una visione ristretta, si possono tentare stime, ma non sapremo mai come è veramente quella stanza.
Abbiamo espresso scetticismo sin dall’inizio circa le notizie, i dati, i numeri dell’epidemia cinese.
Abbiamo guardato alla quarantena militare cinese con gli occhi giudicanti di chi vive in democrazie sicure, avvolgenti. Mai dalle nostre parti sarebbe sceso l’esercito nelle strade.
Abbiamo guardato con invidia ed ammirazione costruire un ospedale di migliaia di posti letto in 10 giorni. Cose dell’altro mondo, si diceva.
Si diceva anche che in Cina l’epidemia avesse colpito così duramente per le condizioni igieniche soprattutto nei sobborghi delle grandi megalopoli, la povertà, la commistione tra uomo e animale.
Da noi sarebbe andata diversamente.
Noi avevamo un tessuto sociale, sanitario e di igiene ben diverso (ah quante illusioni ci siamo fatti!).
Non abbiamo creduto ai numeri quando l’epidemia cresceva in Cina. Si pensava fossero maggiori ma nascosti dal controllo del governo sui mass media.
Eppure, guardate come è strano l’animo umano, appena dalla Cina sono arrivati segnali di disgelo, appena hanno affermato di aver raggiunto il picco, appena hanno detto che si poteva allentare la quarantena gli abbiamo creduto subito. Avevamo bisogno di credere. Credere che effettivamente non era poi la tragedia che si temeva.
Avevamo bisogno di credere che potevamo non interessarci di questo problema, che ci avrebbe solo sfiorati.
Sui TG e nei salotti televisivi (e siamo a fine febbraio) illustri virologi (che oggi si ergono a paladini della lotta contro il coronavirus) ci rassicuravano insieme al ministro della salute che da noi sarebbe stata poco più di un’influenza normale (che sensazione rivedere ora quei filmati).
E su questo errore, questo cullarsi sulla nostra presunta forza sanitaria, su una presunta invulnerabilità dei sistemi occidentali, su tutto questo siamo franati.
L’onda ci ha preso in pieno. La Lombardia è caduta per prima e con una velocità sorprendente.
Il sistema sanitario non era pronto, le istituzioni non erano partite per tempo a fare incetta di DPI (Dispositivi di Protezione), ed a emergenza scoppiata si sono accorti che tutti, nel mondo, li cercavano disperatamente.
Così i primi ad ammalarsi e ad essere fonte di contagio sono stati proprio i sanitari.
Non abbiamo inoltre compreso sin da subito che c’erano due campi di battaglia.
Uno negli ospedali e uno fuori. La gestione e il modello italiano di assistenza sul territorio era evidentemente non preparo ad affrontare una crisi di questa portata e questo ha consentito il diffondersi di focolaio incontrollati soprattutto in paesi o strutture ad alta concentrazione di pazienti anziani e fragili.
Abbiamo sbagliato tanto.
Poi ci siamo rialzati. Abbiamo costruito anche noi ospedali in 10 giorni.
Abbiamo fatto il punto e siamo ripartiti. Ora è importante NON ripetere gli errori. Imparare la lezione. Rischiamo di sbagliare ancora?
Ora è tardi. La mano sulla tastiera stanca. Ne riparliamo domani, a mente fresca.
Domani parleremo di cosa rischiamo di sbagliare ancora e di cosa dobbiamo fare per non sbagliare in futuro.
8 di Aprile … alla lavagna, interroghiamo ….
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’