In memoria di un Soldato di Novara scomparso durante la Grande Guerra.
La notizia dell’attentato a Sarajevo arriva anche nel novarese, ma l’attenzione è incentrata sulle elezioni amministrative che, proprio il 28 giugno 1914, hanno interessato sia il comune capoluogo che altri centri della provincia. A Novara, vince la lista socialista e viene eletto alla carica di Sindaco Luigi Giulietti, medico chirurgo e primario ospedaliero. Rimane in carica fino all’entrata in guerra dell’Italia, quando è richiamato in servizio come ufficiale medico presso l’ospedale militare della città. Novara ospita tre caserme (Perrone, Cavalli e Passalacqua), l’Ospedale Militare (allora parte integrante dell’attuale Ospedale Maggiore), il Panificio Militare e la Piazza d’Armi, area destinata alle esercitazioni, a sud della città. Nel 1914 queste strutture sono la sede del Distretto Militare e del Comando della 2° Divisione, del 23° reggimento di Fanteria, della Brigata di Fanteria “Novara” e del 17° Reggimento Artiglieria da Campagna. Novara ha circa 54.000 abitanti, è il capoluogo di una provincia molto vasta che comprende le attuali province di Vercelli, Biella e Cusio-Verbano-Ossola ed è al centro di una importante zona agricola coltivata a riso Ospita, inoltre, importanti realtà industriali ed economiche come il cotonificio Wild, l’Istituto Geografico De Agostini e la Banca Popolare di Novara.
Tra i novaresi che abitano ai piedi della Cupola di San Gaudenzio vive Santino Bassi. Ha 31 anni ed è un abile selciatore, cioè si occupa della pavimentazione e della manutenzione delle strade. Santino ha sposato Santina Bonelli, una giovane di Nibbiola, piccolo centro a 10 chilometri a sud di Novara ed hanno due figli ancora piccoli: Francesco (chiamato Cecco) e Lucia.
L’indirizzo completo si ricava da due cartoline inviate da Santino alla moglie il 15 settembre e il 2 ottobre 1915.
Santino, quando sente parlare della guerra che potrebbe scoppiare, si sente sicuro perché, nel 1905, è stato riformato per insufficienza toracica. Inoltre la dichiarazione di neutralità, proclamata nei primi giorni di agosto dal governo italiano, gli toglie ogni preoccupazione. In quei mesi l’opinione pubblica è convinta che la fine della guerra sia imminente, entro Natale, perché l’esercito tedesco è vittorioso su tutti i fronti ed i sodati inglesi sono arrivati tardi in aiuto del Belgio e della Francia. È molto diffusa la convinzione che i comandi dell’Esercito italiano non avrebbero iniziato la guerra in inverno, una guerra da combattere prevalentemente in montagna, ma soprattutto, che l’Italia non avrebbe, comunque, preso parte ad una guerra, perché questo avrebbe voluto dire raddoppiare il già pesante debito pubblico. Nell’ottobre del 1914 un “sussulto bellico” attraversa la Nazione. L’Italia invia a Valona, in Albania, una “missione sanitaria” per far fronte ad una epidemia di colera. L’entrata in guerra della Turchia al fianco di Germania e Austria, convince il governo italiano a proteggere il personale sanitario con un cospicuo numero di fanti di marina e una squadra navale. L’operazione prevede l’occupazione provvisoria dell’isola di Saseno (in albanese Sazan) nel Canale d’Otranto, per garantire la sicurezza della missione stessa. Quella occupazione, definita “provvisoria” nel 1914, terminerà nel 1943.
L’inverno trascorre tranquillo. La neve cade abbondante e copre non solo le trincee della Francia, ma anche la Pianura Padana. Il settimanale socialista novarese “Il Lavoratore”, denuncia l’ipocrisia di chi dichiara di sostenere la pace e la prosperità dei popoli ma, in realtà, prepara la guerra. Il Prefetto di Novara Riccardo Zoccoletti, invia al ministro Salandra una relazione in cui afferma: «Eccellenza, la popolazione di questa provincia è di natura sua molto calma e riflessiva. L’immane conflitto è stato ed è tuttora considerato da un punto di vista prevalentemente pratico, e cioè nei riguardi economico – finanziari, piuttosto che in quelli politico – nazionali. Io credo, quindi, che nella provincia prevale la corrente favorevole alla neutralità».
Da gennaio ad aprile del 1915 il Governo Italiano cambia velocemente e radicalmente la propria posizione, passando il 3 maggio dalla neutralità alla mobilitazione delle forze armate. La sera del 14 maggio a Novara si verificano scontri tra socialisti e interventisti e la forza pubblica occupa militarmente quello che i novaresi chiamano “l’angolo delle ore”.
Lunedì 24 maggio, il Sindaco fa affiggere sui muri di Novara un manifesto che si conclude con queste parole; «La Giunta Comunale, a chi parte per la guerra, manda il suo fraterno saluto e augura colla vittoria, il ritorno all’affetto delle loro famiglie, al lavoro nobilitatore, alla pace che tutti renderà migliore».
Santino legge attentamente il manifesto e le parole “a chi parte per la guerra” si fissano nella sua mente, lo preoccupano e lo accompagnano fino a casa, ma in cuor suo, come sempre, affida la speranza di non partire al fatto che 10 anni prima è stato riformato per insufficienza toracica. Ripete più volte alla moglie Santina di non preoccuparsi: «Cosa vuoi che se ne facciano di uno come me! Ho più di trent’anni e sono stato riformato. E poi se parto, chi aggiusta le strade: siamo in pochi a saperlo fare! Lo so che non è bello da dirsi, ma prima di me ci sono tanti giovani da chiamare sotto le armi!». Per alcuni giorni la vita sembra tornata alla normalità: Santino va al lavoro e la moglie bada alla casa ed ai figli.
Santina, quando va a fare la spesa al mercato, ascolta i racconti delle altre donne. Chi viene da Sant’Agabio dice che le caserme sono in fermento: carri che entrano ed escono, squilli di trombe e almeno una volta al giorno, uno dei cancelli si apre ed escono i soldati in fila, con il fucile e lo zaino sulle spalle che, cantando, vanno verso la stazione ferroviaria. Chi coltiva l’orto lungo la ferrovia che viene da Torino, aggiunge che passano treni con i vagoni pieni di militari oppure carichi di cannoni e di carri. Le giovani ragazze al servizio dei “signori”, dicono che i loro padroni, che leggono il giornale tutti i giorni, sono sicuri che la guerra sarà lunga e non è detto che finisca come spera il Re.
Un mattino di fine luglio Santina incontra l’Angela, che viene in città dalla Cascina Remonda per vendere le uova. Le racconta che suo nipote di 27 anni deve partire per il fronte. Il giorno dopo l’Anna dice che suo cognato di Vespolate deve andare in una caserma di Brà per fare il soldato.
Quel pomeriggio Santina prende la decisione di andare alla Basilica di San Gaudenzio con i due figli. Arrivata davanti all’altare, ordina ai bambini di inginocchiarsi e con un gesto li zittisce quando, stupiti, le chiedono perché. Anche lei si inginocchia: con le mani giunte e con una espressione corrucciata e severa, guarda fisso in direzione della teca che custodisce il corpo del Santo. Poi si rialza e tutti e tre escono dalla Basilica con passo veloce.
Ma … in tempo di guerra le preghiere non sempre sono ascoltate e le deficienze toraciche diventano dettagli di scarsa importanza.
«BASSI SANTINO di Francesco, nato il 10 ottobre 1883 a Novara, distretto militare di Novara» sposato, padre di due figli, il 31 agosto 1915 viene chiamato alle armi e arruolato nel 10° Reggimento fanteria che, con il 9° Reggimento, costituisce la “Brigata Regina”. È uno dei cinque milioni di italiani mobilitati durante il conflitto 1915 - 1918 ed è uno dei quattro milioni e duecentomila che conoscono la guerra in trincea.
Inizia, così, una lunga corrispondenza tra Santino e la moglie, fatta di molte lettere attraverso le quali la informa del proprio stato di salute e descrive la vita di sodato al fronte.
Si calcola che durante i 42 mesi del conflitto vengono scambiate tra militari e famigliari, circa 4 miliardi di missive. È un numero enorme, costituito da lettere, cartoline postali, cartoline - vaglia e cartoline illustrate. Molto di questo materiale
è andato perduto, ma ciò che è arrivato a noi, a distanza di oltre cento anni, permette di conoscere le emozioni ed i pensieri di quegli uomini a cui il destino ha riservato la terribile avventura della guerra.
Il 17 settembre Santino scrive alla moglie una breve lettera, per comunicarle
che da due giorni è in zona di guerra.
In questa lettera Santino è molto vago quando deve scrivere dove si trova e accenna alla censura. La censura militare, infatti, durante tutto il conflitto, verifica il contenuto delle lettere spedite a casa dai militari, sia per evitare che giungano notizie riservate dal teatro delle operazioni, sia per esercitare il controllo sul morale dei combattenti, individuando eventuali disfattisti.
Il 10° Reggimento, di cui fa parte Santino, in realtà, è schierato nelle retrovie del fronte, nella zona di Cividale del Friuli. Si è appena conclusa la Seconda Battaglia dell’Isonzo e la “Brigata Regina” lascia sul terreno 1270 morti.
Il 25 settembre scrive: «Carissima moglie Santina, [stiamo per partire] per il fronte, ma ti prego di non pensare male e di pregare iddio per me. Spero di venirti a trovare [presto] e ti prego di tenere d’acconto i nostri figli. Addio e tanti saluti da tuo marito Santino. Tanti saluti ai nostri genitori, ai nostri parenti, ai vicini di casa e a tutti quelli che chiederanno di me. Addio. Addio. Un bacio da tuo marito Santino e tanti baci ai nostri figli. Addio.»
Il 4 ottobre Santino scrive nuovamente alla moglie perché gli spedisca al più presto il “piastrino di riconoscimento” che ha dimenticato a casa e le chiede di preparagli due paia di calze, perché pensa che ne avrà presto bisogno.
Il 6 ottobre scrive: «Carissima moglie Santina, sono tanto contento che sei in buona salute e così [anch’io]. Cara moglie [non ti preoccupare se saprai che ci stiamo ritirando]. Non sono ancora tanto sicuro, ma è probabile che [ci ritireremo]. Rincuora anche i nostri figli e mandali per bene a scuola.
Cara Santina, mi hai detto che mi hai spedito tre lettere e una cartolina, ma io non ho ricevuto niente. [Ti raccomando] il piastrino di spedirlo subito per lettera che [ne ho] bisogno e vorrei dirti che [sono] 22 giorni che non mi sono cavato le scarpe. Dormiamo in terra e siamo stati otto giorni sotto la tenda [mentre] pioveva giorno e notte. Avrei ancora [altre cose] da dirti, ma non posso. Appena posso scrivere una lettera, ti scriverò. Ti saluto. Addio e ricevi un bacio dal tuo marito Santino e tanti baci ai nostri figli.»
Il 18 ottobre comunica alla moglie che partirà per il fronte. «Carissima moglie Santina, [ti scrivo] soltanto queste due righe per dirti che partiamo e non si sa dove andiamo, ma facilmente andiamo al fronte. Ti prego di non [preoccuparti] per me. Speriamo di vederci ancora e se non ci vediamo più, ti prego di [curare] i miei figli. Ti prego di scrivermi subito e di scrivermi anche se io [non rispondo], perché tutti lo sanno che sotto il fuoco non abbiamo tanto tempo per scrivere. Altro non [ho] da dirti. [Ti saluto] di vero cuore e tanti saluti ai nostri genitori, ai nostri vicini di casa e se iddio mi darà la grazia di ritornare ancora, faremo una bella [festa] tutti insieme. Addio. Mille baci dal tuo marito Santino.»
Il 10° Reggimento viene schierato nelle trincee di Cima 4. Unitamente al
9° Reggimento, ha l’obbiettivo di occupare San Martino del Carso.
Il 20 ottobre Santino scrive: «Carissima Moglie Santina, noi siamo al fronte, ma non abbiamo combattuto. Siamo molto [spaventati] perché vediamo le granate che scoppiano poco davanti a noi e quando scoppiano mettono paura, ma ti dico di non [preoccuparti] e di scrivere tutti i giorni anche [se] io non scrivo, perché sotto il fuoco non possiamo scrivere quando vogliamo. Speriamo di [rivederci] ancora. Tralascio di scrivere perché siamo sotto il tiro del cannone. Addio. Tanti saluti alle nostre famiglie e tanti baci ai miei figlioli e chi sa se ci rivediamo ancora. Mille baci.»
È iniziata la Terza Battaglia dell’Isonzo. La “Brigata Regina”, dopo venticinque giorni di assalti, lascia sul terreno 1560 caduti senza raggiungere l’obbiettivo.
Il 4 novembre, il 10° Reggimento viene rimandato nelle retrovie.
Il 5 novembre Santino scrive: «Carissima Moglie Santina, vengo [con queste] poche righe per farti sapere che siamo venuti indietro dal fronte e sono in buona salute, così spero anche di tutti [voi]. Carissima Moglie, il giorno dei Santi abbiamo avuto un grosso attacco e da [quota] 220 [siamo] ritornati a quota 90. C’era la montagna tutta coperta di morti e noi abbiamo avuto il cambio il giorno 4. In un paese poco distante [dalla zona] del combattimento, abbiamo trovato dei novaresi e [tra di loro] ho trovato il mio compagno Sponghini Alberto.
Il giorno successivo, il 6 novembre, scrive: «Carissima Moglie, mi hai detto che non hai capito niente [di cosa c’era scritto] sulla cartolina, ma guarda che quando ti ho scritto quella cartolina ero in un posto troppo brutto, che non mi credevo di ritornare ancora [vivo]. Carissima Santina, mi farai il piacere di spedirmi subito un paio di calze, un paio di mutande, una camicia, tre o quattro fazzoletti, due cravatte (SCIARPE) di lana, un piccolo bastone di salame crudo e un poco di farmacia. Per i danari per adesso [non ne ho] bisogno. Mi farai il piacere di [spedire i vestiti] subito [perché possa cambiarmi] perché siamo tutti pieni di mondizia. Tanti saluti dal tuo marito Santino e tanti saluti alle nostre famiglie e a tutti i nostri vicini di casa e dai un bacio ai nostri figli. Addio. Mille baci.»
Il Generale Cadorna lancia un nuovo attacco: la Quarta Battaglia dell’Isonzo. Il 9° e il 10° Reggimento fanteria tornano al fronte e vengono schierati nelle trincee di “Bosco Lancia”, sempre di fronte a San Martino del Carso.
Il 9 novembre 1915 Santino scrive: «Carissima moglie Santina, mentre scrivo questa cartolina mi [vengono] le lagrime agli occhi, perché dobbiamo andare ancora in combattimento, ma ti prego non pensar male che [se sono tornato] una volta, spero di [tornare anche questa]. Cara Santina guarda che ho trovato un mio compagno e [gli ho] dato 20 lire [da mandarti, perché dove si combatte non ne ho bisogno]. Ti saluto. Sono sempre il tuo marito Santino che se [iddio] mi fa la grazia di venire ancora a casa, potrò raccontarti come è la guerra. Addio. Tanti saluti ai nostri genitori, a tutti i vicini di casa, a tutti i miei cognati e a tutti i nostri nipoti e farai un bacio ai nostri figli. Addio. Mille baci.»
Quello stesso giorno la moglie Santina gli scrive: «Caro Santino, [ho ricevuto le tue due cartoline] e ne rimasi contenta nel sentire che, dopo tanti pericoli passati, ti trovi sinora in buona salute, così come lo siamo noi tutti. Guarda che il giorno 11 ti spedisco il pacco con tutto ciò che mi hai [chiesto], e crederò che ti troverai contento di me. [Appena] hai ricevuto il pacco, scrivimi subito, ch’io sono più tranquilla. Ti spedisco una camicia, un paio di mutande, un paio di calze, cravatte e quattro fazzoletti,
un asciugamani, salame, formaggio e cioccolato. Scrivi appena hai ricevuto tutto. Sempre [con la] speranza di rivederci presto e di aver fede in Dio, [saluti] da parte di tutti i miei e i tuoi. Tua Moglie Santina. Baci dai tuoi figli.» La lettera si conclude con i saluti dei due figli: «Ciau papà. Tanti saluti del tuo figlio Cecco e Lucia. Vieni a casa presto.»
Al termine della Quarta Battaglia dell’Isonzo, il Comando Supremo decide di sospende le operazioni a causa delle modeste posizioni conquistate, della difesa austriaca rimasta intatta e dell'esaurimento dei reparti italiani, dissanguati da mesi di assalti.
Santina, dopo alcuni giorni, non ricevendo notizie, scrive all’amico del marito Alberto Sponghini, citato nella lettera del 5 novembre. Questi gli risponde che purtroppo non può dare alcuna informazione, trovandosi in un’altra zone del fronte, distante 60 chilometri da dove è schierato il reggimento di Santino. Conclude la comunicazione scrivendo «Appena che saprò qualche cosa non dubiti che è la mia premura a farglielo sapere».
In realtà è uno degli appositi “Uffici Notizie” dell’Esercito che, tramite il sindaco della città, comunica a Santina la morte del marito. Ogni comunicazione inizia con la frase: “Siamo molto dolenti di dovervi comunicare tale triste notizia. Mentre compiva il suo dovere cadeva …” e segue il nome del famigliare caduto.
La Prima Guerra Mondiale, secondo i dati ufficiali governativi, ha causato in totale 750.000 morti: 652.000 “per diretta e ben accertata causa di guerra” e 98.000 per “concause di guerra” (generalmente ferite, malattie contratte in trincea o affondamento di navi per il trasporto truppe). I feriti furono circa 950.000 di cui 500.000 mutilati.
Inoltre 40.000 soldati tornarono con patologie psichiche permanenti dovute a traumi subiti nel corso dei combattimenti o al fatto di aver subito prolungati bombardamenti di artiglieria. (Oggi sarebbero definiti vittime di disturbo da stress post-traumatico). Sono i reduci che la gente chiama ingiustamente "scemi di guerra" e che la società rinchiude nei manicomi perché «…. in un Paese in cui la leva era obbligatoria, non si voleva attribuire alla guerra la causa del disagio psichico: meglio sostenere che il conflitto contribuiva a rivelare devianze o degenerazioni in individui già predisposti» … ma questa è un’altra storia.
Copyright testo Giorgio Carfagna
«NESSUNO POTRÀ TENERSI IN DISPARTE» a cura di A. Mignemi - Interlinea Edizioni
«LA CITTÁ DI NOVARA E IL NOVARESE NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE»
Vol. 1°- 2° - A cura di C. Vernizzi - Interlinea Edizioni
«PIERO ALLA GUERRA» di L. Parlani - Interlinea Edizioni
«SOLDATI DEL REGNO» di E. Cernigoi e P.Compagni – Itinera progetti
Fonti
www.difesa.it
Ministero della Difesa – Commissariato generale per le Onoranza ai Caduti
www.esercito.difesa.it
Archivio documentale – Esercito Italiano
Ringraziamenti
Agli Eredi di Santino Bassi e Santina Bonelli e in particolare a Marinella Castagnetti, nuora di Francesco “Cecco” che, insieme alla sorella Lucia, saluta il padre in quella lettera che non leggerà mai.
Marinella Castagnetti ha il merito di aver trovato e conservato tutte le lettere e le cartoline che costituisco questo ormai raro esempio di “corrispondenza di guerra”.
Alla Professoressa Cristina Rossari che ha selezionato e rielaborato parte delle lettere inviate da Santino, facendone il centro di una mostra allestita presso il Comune di Nibbiola nel mese di giugno del 2015.