“Fasuma San Martin” cum “l’oca da San Martin”.
I modi di dire del titolo provengono chiaramente dal mondo rurale, infatti l’11 novembre, festa di San Martino coincideva e, tuttora coincide, con la fine dell’anno agricolo e dei contratti di affitto dei terreni.
Un tempo, sino alla metà del secolo ventesimo, la conseguenza negativa di questa data era subita dai salariati a cui, per vari motivi, non veniva confermata la permanenza in azienda, con un conseguente trasloco alla ricerca di un altro “padrone”.
Ne derivava un’affrettata raccolta delle poche cose che il contadino possedeva, la sistemazione su un carretto di fortuna con la sua famiglia, spesso ricca solo di figli (o molto numerosa) per intraprendere un nuovo viaggio verso un’altra azienda.
Le fangose strade della pianura, in quel giorno, erano particolarmente frequentate, ma solo da file di carri che nell’incrociarsi si trasmettevano reciprocamente una comprensibile eccitazione alla ricerca di una soluzione più fortunata e definitiva.
In tempi precedenti, il giorno successivo alla festa di San Martino era considerato una specie di capodanno contadino che, per alcune confessioni religiose, iniziava con un digiuno, ma prima della penitenza era rituale un’abbuffata in un pranzo a base d’oca, l’“oca di San Martino”.
Questa tradizione affonda le sue radici nel passato celtico; in seguito fu ripresa dai cristiani, grazie, pare, a San Martino. La leggenda racconta che Martino, nominato vescovo di Tours a furor di popolo, non volendo accettare l’incarico, cercò di nascondersi ai fedeli, ma alcune oche con i loro schiamazzi, rivelarono la sua presenza, per cui si vide costretto ad accettare la nomina diventando poi quel grande santo che conosciamo.
L’allevamento dell’oca, per la sua riserva di grassi e proteine, era praticato nel medioevo, dapprima grazie a Carlo Magno che lo incentivava ed in seguito agli ebrei che, non potendo consumare carni di suino, si deliziavano con salumi e prosciutti di oca, ma anche di altre parti meno raffinate, visto che l’oca viene utilizzata in tutte le sue parti e non solo in cucina.
La sua zampa si trova persino tra i costruttori delle cattedrali gotiche che la utilizzavano come marchio di fabbrica; infatti i maestri venivano chiamati “jars” che in francese significa “oche”. Inoltre il “piè d’oca” è termine e tecnica usata attualmente in costruzione.
Durante il medioevo l’oca era considerato il simbolo dell’aldilà, guida dei pellegrini con la sua intelligenza ed “emblema della prudenza” secondo l’umanista e filosofo gardesano Giulio Cesare Scaligero (1484-1558).
L’oca, con il suo prezioso piumino ha riscaldato per millenni i nostri letti, ma soprattutto le sue penne hanno contribuito a divulgare la cultura sino all’introduzione di strumenti moderni.
Attualmente stiamo vivendo una vera “estate di San Martino” che favorirà scampagnate durante le quali si potranno gustare i prelibati manicaretti a base d’oca; naturalmente dopo un pensiero al generoso santo.
Copyright Riccardo Pezzana Sara