Vercelli 1 maggio 2020
DIARIO DI BORDO – 30 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
<< seconda stella a destra, questo è il cammino, poi dritto fino al mattino. Poi la strada la trovi da te. Porta all’isola che non c’è>> (Edoardo Bennato)
LA PAGINA CHE NON C’E’
Avevo pensato per il 4 Maggio una bella pagina, solare, colorata, ricca di speranza, di vita.
Erano giorni che nella mente la preparavo.
Era un edificio che lentamente andavo costruendo a partire dalle fondamenta.
Immaginavo porte, finestre, impianti. Vedevo la vita riempire quella casa.
Luci accendersi, acqua scorrere nei tubi, un soffio d’aria attraversare i filtri del condizionatore.
Quei piccoli scricchiolii impercettibili dei muri, dei legni. Il mormorio delle case “viventi”.
Immagini, suggestioni e pensieri.
Era, doveva essere, la pagina del primo giorno di semi-libertà.
Così non so se andrà.
Perché nelle ultime 48 ore notizie discordanti girano sul web in attesa di documenti ufficiali. Da una parte la Regione sembra che apra in parte, dall’altra l’assessore alla salute afferma in un’intervista che fosse per lui così non sarebbe, almeno non subito.
Lo scavo di terra che doveva accogliere la gettata delle fondamenta resta al momento vuoto. Deserto.
Un buco, nel cuore.
Una pagina del diario che forse non ci sarà.
Cosa è successo?
È successo che il Piemonte è la regione d’Italia che è andata peggio.
E quando uno studente non studia, sa di non aver studiato, non può aspettarsi altro.
Siamo bocciati. O nella migliore delle ipotesi, rimandati.
Abbiamo bivaccato per anni tra deficit di bilancio, piani di rientro e “razionalizzazioni”.
Che bella parola: RAZIONALIZZARE.
Non tagliare, impoverire, indebolire, sottrarre. No, noi in Piemonte abbiamo RAZIONALIZZATO.
E siamo stati bravi.
Sorridevamo a vedere i 14 laboratori avanzati del Veneto. Noi potevamo fare lo stesso con 2. Parsimoniosi.
Sorridevamo a vedere la pletora di posti di terapia intensiva delle altre regioni. Noi potevamo cavarcela con uno dei numeri più bassi in Italia di tali posti letto. Noi eravamo più bravi.
Sorridevamo a vedere gli organici medici e infermieristici di altri. Noi col piano di rientro abbiamo bloccato concorsi per anni. Noi potevamo fare lo stesso degli altri anche senza assumere.
E poi abbiamo inventato le reti.
Non voglio essere frainteso. Fare “rete” vuol dire creare un sistema regionale di specialisti che si parlino, comunichino, scambino dati e gestiscano le diverse complessità. Questa è la “rete” che fa bene! La rete che non fa bene è quella che porta invece a tagliare reparti e servizi non per inutilità, ma per necessità semplice e pura di tagliare costi (basti pensare ai tagli della rete oncologica).
Questa è stata la nostra RAZIONALIZZAZIONE: abbiamo tagliato, risparmiato, indebolito.
La gestione della medicina di territorio è stata accantonata per anni e anni. Non c’erano i soldi. E non si risponda, come si fa in questi casi a volte, che però il fondo sanitario è stato incrementato. Certo, è vero. Peccato resti una delle spese sanitarie in rapporto al PIL più basse d’Europa e poi manco è chiaro dove tutte le risorse vadano a finire.
Proviamo a pensare di avere un bilancio familiare di 600 euro a mese e contemporaneamente avere spese fisse per 800 euro. Immaginiamo ora che il nostro datore di lavoro, con orgoglio, ci informi che negli ultimi anni ci ha aumentato lo stipendio passando progressivamente da 600 a 615 euro. Risulta evidente che continuiamo a non essere in grado di pagare le spese minime.
Non si è avuto coraggio.
Coraggio di riformare il SSN, di creare una vera integrazione tra ospedale e territorio che continuano ad essere mondi sostanzialmente separati.
In anni ormai di esperienza nel direttivo dell’Ordine dei Medici ho imparato a osservare i problemi dai due punti di vista. Sono sicuro che tutti noi medici vorremmo un sistema integrato per parlare tutti la stessa lingua, avere procedure simili.
Se ciò fosse avvenuto, se la prima linea che doveva fronteggiare il COVID avesse avuto organizzazione, risorse, DPI, protocolli forse l’onda non si sarebbe schiantata tutta sugli ospedali. Se avessimo potuto isolare subito i contagiati, i malati. Se avessimo avuto tamponi e laboratori per farlo.
Se avessimo… oggi non sarei qui, di fronte ad uno schermo, ad osservare in silenzio il mondo fuori ed a chiedermi se devo cancellare una pagina quasi già scritta.
4 Maggio: è il giorno in cui vorrei fare la mia “prima cosa bella” come scrivevo il 27 Aprile. Per me la prima cosa bella sarebbe rivedere i miei genitori dopo oltre due mesi, e farlo, con le dovute precauzioni, con i miei figli.
Siamo bloccati, almeno sino al momento attuale in cui sto scrivendo questa pagina, in attesa di notizie definitive e ufficiali.
Ci sono famiglie che cominciano a non avere di che vivere, ci sono persone che sono allo stremo, psicologicamente, e non sappiamo chi ringraziare. Sappiamo che da altre parti le cose sono andate meglio. Il tempo e altri diranno perché.
In due mesi ho sempre misurato le parole, pensato e ripensato prima di scrivere.
Sentivo la responsabilità di passare messaggi positivi.
Oggi, mi perdonerà la Compagnia del Diario, un velo di tristezza.
Passerà. Questi due mesi ci hanno visto piangere, sorridere, arrabbiarci. Certo non sono stati avari di emozioni.
Qualunque sia l’emozione della giornata ricordiamoci sempre che ognuno di noi può essere, se vuole, migliore di chi ci ha messo in questa condizione, dobbiamo avere la forza di dimostrarlo. Mettendo tutti insieme una pezza a questa società ammaccata. Con i nostri comportamenti e con il senso di comunità: proteggerci a vicenda.
Ci prendiamo per mano tutti e proseguiamo il cammino.
30 di Aprile …. Verso l’isola che (forse) non c’è …
COPYRIGHT E FOTO DOTT. SERGIO MACCIO’
DIARIO DI BORDO – 30 Aprile a.d.c. (Anno del Corona)
<< seconda stella a destra, questo è il cammino, poi dritto fino al mattino. Poi la strada la trovi da te. Porta all’isola che non c’è>> (Edoardo Bennato)
LA PAGINA CHE NON C’E’
Avevo pensato per il 4 Maggio una bella pagina, solare, colorata, ricca di speranza, di vita.
Erano giorni che nella mente la preparavo.
Era un edificio che lentamente andavo costruendo a partire dalle fondamenta.
Immaginavo porte, finestre, impianti. Vedevo la vita riempire quella casa.
Luci accendersi, acqua scorrere nei tubi, un soffio d’aria attraversare i filtri del condizionatore.
Quei piccoli scricchiolii impercettibili dei muri, dei legni. Il mormorio delle case “viventi”.
Immagini, suggestioni e pensieri.
Era, doveva essere, la pagina del primo giorno di semi-libertà.
Così non so se andrà.
Perché nelle ultime 48 ore notizie discordanti girano sul web in attesa di documenti ufficiali. Da una parte la Regione sembra che apra in parte, dall’altra l’assessore alla salute afferma in un’intervista che fosse per lui così non sarebbe, almeno non subito.
Lo scavo di terra che doveva accogliere la gettata delle fondamenta resta al momento vuoto. Deserto.
Un buco, nel cuore.
Una pagina del diario che forse non ci sarà.
Cosa è successo?
È successo che il Piemonte è la regione d’Italia che è andata peggio.
E quando uno studente non studia, sa di non aver studiato, non può aspettarsi altro.
Siamo bocciati. O nella migliore delle ipotesi, rimandati.
Abbiamo bivaccato per anni tra deficit di bilancio, piani di rientro e “razionalizzazioni”.
Che bella parola: RAZIONALIZZARE.
Non tagliare, impoverire, indebolire, sottrarre. No, noi in Piemonte abbiamo RAZIONALIZZATO.
E siamo stati bravi.
Sorridevamo a vedere i 14 laboratori avanzati del Veneto. Noi potevamo fare lo stesso con 2. Parsimoniosi.
Sorridevamo a vedere la pletora di posti di terapia intensiva delle altre regioni. Noi potevamo cavarcela con uno dei numeri più bassi in Italia di tali posti letto. Noi eravamo più bravi.
Sorridevamo a vedere gli organici medici e infermieristici di altri. Noi col piano di rientro abbiamo bloccato concorsi per anni. Noi potevamo fare lo stesso degli altri anche senza assumere.
E poi abbiamo inventato le reti.
Non voglio essere frainteso. Fare “rete” vuol dire creare un sistema regionale di specialisti che si parlino, comunichino, scambino dati e gestiscano le diverse complessità. Questa è la “rete” che fa bene! La rete che non fa bene è quella che porta invece a tagliare reparti e servizi non per inutilità, ma per necessità semplice e pura di tagliare costi (basti pensare ai tagli della rete oncologica).
Questa è stata la nostra RAZIONALIZZAZIONE: abbiamo tagliato, risparmiato, indebolito.
La gestione della medicina di territorio è stata accantonata per anni e anni. Non c’erano i soldi. E non si risponda, come si fa in questi casi a volte, che però il fondo sanitario è stato incrementato. Certo, è vero. Peccato resti una delle spese sanitarie in rapporto al PIL più basse d’Europa e poi manco è chiaro dove tutte le risorse vadano a finire.
Proviamo a pensare di avere un bilancio familiare di 600 euro a mese e contemporaneamente avere spese fisse per 800 euro. Immaginiamo ora che il nostro datore di lavoro, con orgoglio, ci informi che negli ultimi anni ci ha aumentato lo stipendio passando progressivamente da 600 a 615 euro. Risulta evidente che continuiamo a non essere in grado di pagare le spese minime.
Non si è avuto coraggio.
Coraggio di riformare il SSN, di creare una vera integrazione tra ospedale e territorio che continuano ad essere mondi sostanzialmente separati.
In anni ormai di esperienza nel direttivo dell’Ordine dei Medici ho imparato a osservare i problemi dai due punti di vista. Sono sicuro che tutti noi medici vorremmo un sistema integrato per parlare tutti la stessa lingua, avere procedure simili.
Se ciò fosse avvenuto, se la prima linea che doveva fronteggiare il COVID avesse avuto organizzazione, risorse, DPI, protocolli forse l’onda non si sarebbe schiantata tutta sugli ospedali. Se avessimo potuto isolare subito i contagiati, i malati. Se avessimo avuto tamponi e laboratori per farlo.
Se avessimo… oggi non sarei qui, di fronte ad uno schermo, ad osservare in silenzio il mondo fuori ed a chiedermi se devo cancellare una pagina quasi già scritta.
4 Maggio: è il giorno in cui vorrei fare la mia “prima cosa bella” come scrivevo il 27 Aprile. Per me la prima cosa bella sarebbe rivedere i miei genitori dopo oltre due mesi, e farlo, con le dovute precauzioni, con i miei figli.
Siamo bloccati, almeno sino al momento attuale in cui sto scrivendo questa pagina, in attesa di notizie definitive e ufficiali.
Ci sono famiglie che cominciano a non avere di che vivere, ci sono persone che sono allo stremo, psicologicamente, e non sappiamo chi ringraziare. Sappiamo che da altre parti le cose sono andate meglio. Il tempo e altri diranno perché.
In due mesi ho sempre misurato le parole, pensato e ripensato prima di scrivere.
Sentivo la responsabilità di passare messaggi positivi.
Oggi, mi perdonerà la Compagnia del Diario, un velo di tristezza.
Passerà. Questi due mesi ci hanno visto piangere, sorridere, arrabbiarci. Certo non sono stati avari di emozioni.
Qualunque sia l’emozione della giornata ricordiamoci sempre che ognuno di noi può essere, se vuole, migliore di chi ci ha messo in questa condizione, dobbiamo avere la forza di dimostrarlo. Mettendo tutti insieme una pezza a questa società ammaccata. Con i nostri comportamenti e con il senso di comunità: proteggerci a vicenda.
Ci prendiamo per mano tutti e proseguiamo il cammino.
30 di Aprile …. Verso l’isola che (forse) non c’è …
COPYRIGHT E FOTO DOTT. SERGIO MACCIO’