Il racconto della giornata del 29 marzo 2020.
Vercelli, 30 Marzo 2020
DIARIO DI BORDO - 29 Marzo a.d.c. (Anno del Corona)
BREVE STORIA DI UN DIARIO “IMPERFETTO”
E’ domenica, e come altre domeniche è tempo di osservare la settimana appena trascorsa e fare qualche bilancio.
Una settimana complessa come ci aspettavamo.
Grafici ancora puntati in alto.
Forse, e dico forse, cominciano a puntare un po’ meno in alto (il dato non è chiaro), ma è evidente che le terapie intensive del nord sono in forte affanno, quasi al default.
Riunioni in videochat con colleghi da tutto il Piemonte, un confronto continuo.
Si conta.
Si fa la conta dei colleghi malati, la conta delle protezioni carenti. La conta dei letti riconvertiti, delle sale operatorie chiuse. La conta dei posti in terapia intensiva.
Gli sfoghi di chi non ce la fa più, lo sprone di chi ha ancora energie, animi che si scaldano e animi che si riappacificano, il positivo e il negativo.
E’ ancora presto per fare previsioni, nessuno in realtà le sa fare, e non è comunque lo scopo di questo diario.
Per ora si vive alla giornata.
Intanto il diario è ormai un adolescente e come tutti i suoi coetanei scalpita per scoprire il mondo.
Così, da questa settimana, queste pagine vengono ospitate sul sito UPOALUMNI (https://upoalumni.uniupo.it/diario-di-un-cardiologo) e sul sito/pagina facebook della Famiglia Nuaresa (https://www.famiglianuaresa.com) che ringrazio per la sensibilità con la quale ha presentato il diario.
Una condivisione che ho accolto con gioia perché sono profondamente convinto che il comunicare pensieri ed emozioni sia una delle strade per sopravvivere al nostro isolamento.
Certo, devo essere sincero, un po’ di paura comincia a fare capolino.
Il diario era inizialmente uno sfogo, una mia necessità intima di raccontare e condividere, ora mi accorgo che è diventato qualcosa di più. Il diario ha convolto tante altre persone che si aspettano le pagine serali e hanno bisogno di leggerle, come io ho bisogno di scriverle, per allontanare il senso di solitudine, per guardare oltre l’ostacolo, per sperare.
Come farmi perdonare allora qualche imprecisione o qualche svista?
Forse raccontando come nasce il diario, ogni giorno.
Lo strumento, essenziale, con cui scrivo è il tablet.
Ma come potete immaginare in area COVID o sospetta tale un tablet non può entrare “nudo”.
Dunque eccolo imbustato (foto 1). Poi serve una penna. Le dita in questo caso. Con uno o due paia di guanti sovrapposte.
Ovviamente anche camice e sovracamice che rendono i movimenti impacciati.
Ovviamente maschera d’ordinanza.
Ora immaginate tutto questo, un tavolino, un caffè da bere (a volte insieme ad uno yogurt che rappresenta il pranzo) con cannuccia se possibile e pochi minuti per riordinare idee e scriverle di getto.
Aggiungiamo l’ipossia cerebrale legata al fenomeno del “rebreathing” (l’inspirazione in questo caso della propria CO2 emessa con l’espirazione ma intrappolata nella maschera).
Perché non scrivere alla sera?
Qualche volta, quando la giornata ospedaliera non ha concesso una pausa sufficiente, il diario viene effettivamente scritto alla sera. Scritto con quella stanchezza più psichica che fisica, quella stanchezza che ti salta addosso dopo una giornata di tensione, di preoccupazioni, di dubbi e paure, di condivisione del dolore. In quelle occasioni serali si scrivono di getto i pensieri e le impressioni maturate durante la giornata, senza molto tempo da dedicare a rilettura e correzioni, mentre lì accanto i bambini reclamano un papà fin troppo assente.
Ecco insomma tutte le attenuanti che ho per gli eventuali errori commessi. Chiedo alla “giuria” di tenerne conto (attenuanti documentate nelle foto allegate) e di avere clemenza.
Da domani una nuova settimana inizia. Da vivere e da raccontare in modo “imperfetto”.
29 di Marzo … io speriamo che scrivo bene …
COPYRIGHT E FOTO dott. SERGIO MACCIO’
DIARIO DI BORDO - 29 Marzo a.d.c. (Anno del Corona)
BREVE STORIA DI UN DIARIO “IMPERFETTO”
E’ domenica, e come altre domeniche è tempo di osservare la settimana appena trascorsa e fare qualche bilancio.
Una settimana complessa come ci aspettavamo.
Grafici ancora puntati in alto.
Forse, e dico forse, cominciano a puntare un po’ meno in alto (il dato non è chiaro), ma è evidente che le terapie intensive del nord sono in forte affanno, quasi al default.
Riunioni in videochat con colleghi da tutto il Piemonte, un confronto continuo.
Si conta.
Si fa la conta dei colleghi malati, la conta delle protezioni carenti. La conta dei letti riconvertiti, delle sale operatorie chiuse. La conta dei posti in terapia intensiva.
Gli sfoghi di chi non ce la fa più, lo sprone di chi ha ancora energie, animi che si scaldano e animi che si riappacificano, il positivo e il negativo.
E’ ancora presto per fare previsioni, nessuno in realtà le sa fare, e non è comunque lo scopo di questo diario.
Per ora si vive alla giornata.
Intanto il diario è ormai un adolescente e come tutti i suoi coetanei scalpita per scoprire il mondo.
Così, da questa settimana, queste pagine vengono ospitate sul sito UPOALUMNI (https://upoalumni.uniupo.it/diario-di-un-cardiologo) e sul sito/pagina facebook della Famiglia Nuaresa (https://www.famiglianuaresa.com) che ringrazio per la sensibilità con la quale ha presentato il diario.
Una condivisione che ho accolto con gioia perché sono profondamente convinto che il comunicare pensieri ed emozioni sia una delle strade per sopravvivere al nostro isolamento.
Certo, devo essere sincero, un po’ di paura comincia a fare capolino.
Il diario era inizialmente uno sfogo, una mia necessità intima di raccontare e condividere, ora mi accorgo che è diventato qualcosa di più. Il diario ha convolto tante altre persone che si aspettano le pagine serali e hanno bisogno di leggerle, come io ho bisogno di scriverle, per allontanare il senso di solitudine, per guardare oltre l’ostacolo, per sperare.
Come farmi perdonare allora qualche imprecisione o qualche svista?
Forse raccontando come nasce il diario, ogni giorno.
Lo strumento, essenziale, con cui scrivo è il tablet.
Ma come potete immaginare in area COVID o sospetta tale un tablet non può entrare “nudo”.
Dunque eccolo imbustato (foto 1). Poi serve una penna. Le dita in questo caso. Con uno o due paia di guanti sovrapposte.
Ovviamente anche camice e sovracamice che rendono i movimenti impacciati.
Ovviamente maschera d’ordinanza.
Ora immaginate tutto questo, un tavolino, un caffè da bere (a volte insieme ad uno yogurt che rappresenta il pranzo) con cannuccia se possibile e pochi minuti per riordinare idee e scriverle di getto.
Aggiungiamo l’ipossia cerebrale legata al fenomeno del “rebreathing” (l’inspirazione in questo caso della propria CO2 emessa con l’espirazione ma intrappolata nella maschera).
Perché non scrivere alla sera?
Qualche volta, quando la giornata ospedaliera non ha concesso una pausa sufficiente, il diario viene effettivamente scritto alla sera. Scritto con quella stanchezza più psichica che fisica, quella stanchezza che ti salta addosso dopo una giornata di tensione, di preoccupazioni, di dubbi e paure, di condivisione del dolore. In quelle occasioni serali si scrivono di getto i pensieri e le impressioni maturate durante la giornata, senza molto tempo da dedicare a rilettura e correzioni, mentre lì accanto i bambini reclamano un papà fin troppo assente.
Ecco insomma tutte le attenuanti che ho per gli eventuali errori commessi. Chiedo alla “giuria” di tenerne conto (attenuanti documentate nelle foto allegate) e di avere clemenza.
Da domani una nuova settimana inizia. Da vivere e da raccontare in modo “imperfetto”.
29 di Marzo … io speriamo che scrivo bene …
COPYRIGHT E FOTO dott. SERGIO MACCIO’