Il racconto della giornata del 22 marzo 2020.
Vercelli, 22 marzo 2020
DIARIO DI BORDO: 22 Marzo a.d.c. (Anno Del Corona)
CHI VUOL ESSER LIETO, SIA
A proposito di leggerezza dell’aria, diari ed epidemie
E’ domenica.
Giorno in cui bisogna (chi non è di turno) respirare.
Quanto ci siamo accorti in queste settimane di un gesto tanto scontato quanto unico: respirare.
L’unica cosa che facciamo ininterrottamente dal momento della nascita a quella della morte.
Ed in tempi di COVID questo atto appare tanto fondamentale quanto fragile e delicato.
Oggi mi giunge, al risveglio, la notizie di una persona, un grande professionista, che ho conosciuto e stimato negli anni di Medicina. Portato via dal corona.
Allora si inspira ed espira e si cerca, si deve cercare, la leggerezza dell’aria.
La scorsa domenica il DIARIO ha parlato di “diari” e lo farà anche oggi.
Per affrontare tutto il resto ci sarà tempo in settimana, non mancherà il tempo, purtroppo, in questa lunga corsa.
Domani si riparte.
Oggi cerco riparo nei libri.
Chi mi conosce sa che la mia passione sono i libri: antichi, unici, d’arte, strani, libri che raccontano storie e libri che hanno una storia da raccontare. Una passione di cui ho fatto quasi un secondo “mestiere”.
E con i libri e grazie a loro posso viaggiare anche ai tempi della quarantena e delle zone rosse. Viaggi che racconto in un blog “www.leportedeilibri.com” da due anni circa con l’aiuto di un prezioso collaboratore.
Il libro che apro virtualmente oggi ha proprio a che vedere con il mio diario e le similitudini sono tante. A suggerirmi il collegamento è stato però uno di voi. Tra i tanti, tantissimi commenti, una persona cara mi ha fatto notare qualche giorno fa un precedente interessante. Se oggi scrivo un diario del corona qualcuno molto più importante di me (ed un vero romanziere) scrisse a suo tempo un diario di un’epidemia.
"Ai primi di settembre del 1664 cominciò a correre voce a Londra e anch’io ne intesi parlare nel mio quartiere, che in Olanda c’era di nuovo la peste…".
Così inizia il” Journal of the Plague Year”, il Diario dell’Anno della Peste, scritto nel 1721 da Daniel Defoe, giornalista e scrittore inglese, autore di “Robinson Crusoe” (di cui possiedo una delle prime copie stampate), e “Moll Flanders”.
Si tratta di un diario immaginario. L’io narrante è un sellaio, non meglio identificato, che allo scoppiare dell’epidemia decide di rimanere in città, nonostante il pericolo, per continuare a curare i suoi affari. Fatalista e profondamente cristiano, si affida alla divina provvidenza, convinto, come molti all’epoca e forse anche lo stesso Defoe, che la causa dell’epidemia fosse dovuta ad una punizione divina per il cattivo comportamento degli uomini.
Accanto al diario personale, più intimo, largo spazio è dato alla descrizione e all’analisi minuziosa e lucida degli avvenimenti e dei comportamenti delle autorità da una parte, non sempre preparate ed efficienti (analogie con i tempo moderni?), e della popolazione dall’altra, sofferente e terrorizzata.
Alle vicende si aggiungono numerose testimonianze e documenti dell’epoca autentici, come le varie ordinanze emesse dalle autorità per cercare di contenere il contagio, le statistiche, il “Bills of Mortality” che riportava in dettaglio gli elenchi dei deceduti e la “Loimologia,” un accurato resoconto dei fatti redatto nel 1672 dal dottor Nathaniel Hodges, uno dei pochi medici che non abbandonarono la città, il quale si prodigò per gli ammalati soprattutto i più poveri con grande dedizione.
Nella figura di Nathaniel Hodges rivedo oggi non solo i colleghi che tengono la prima linea, ma quelle migliaia di medici volontari che ieri hanno risposto al bando della Protezione Civile.
Allora caro Defoe è un piacere, nel mio piccolo e senza pretesa alcuna, affiancare il mio modesto diario al tuo.
22 di Marzo … Di doman non c’è certezza …
Copyright testo e fotografia dott. Sergio Maccio'
DIARIO DI BORDO: 22 Marzo a.d.c. (Anno Del Corona)
CHI VUOL ESSER LIETO, SIA
A proposito di leggerezza dell’aria, diari ed epidemie
E’ domenica.
Giorno in cui bisogna (chi non è di turno) respirare.
Quanto ci siamo accorti in queste settimane di un gesto tanto scontato quanto unico: respirare.
L’unica cosa che facciamo ininterrottamente dal momento della nascita a quella della morte.
Ed in tempi di COVID questo atto appare tanto fondamentale quanto fragile e delicato.
Oggi mi giunge, al risveglio, la notizie di una persona, un grande professionista, che ho conosciuto e stimato negli anni di Medicina. Portato via dal corona.
Allora si inspira ed espira e si cerca, si deve cercare, la leggerezza dell’aria.
La scorsa domenica il DIARIO ha parlato di “diari” e lo farà anche oggi.
Per affrontare tutto il resto ci sarà tempo in settimana, non mancherà il tempo, purtroppo, in questa lunga corsa.
Domani si riparte.
Oggi cerco riparo nei libri.
Chi mi conosce sa che la mia passione sono i libri: antichi, unici, d’arte, strani, libri che raccontano storie e libri che hanno una storia da raccontare. Una passione di cui ho fatto quasi un secondo “mestiere”.
E con i libri e grazie a loro posso viaggiare anche ai tempi della quarantena e delle zone rosse. Viaggi che racconto in un blog “www.leportedeilibri.com” da due anni circa con l’aiuto di un prezioso collaboratore.
Il libro che apro virtualmente oggi ha proprio a che vedere con il mio diario e le similitudini sono tante. A suggerirmi il collegamento è stato però uno di voi. Tra i tanti, tantissimi commenti, una persona cara mi ha fatto notare qualche giorno fa un precedente interessante. Se oggi scrivo un diario del corona qualcuno molto più importante di me (ed un vero romanziere) scrisse a suo tempo un diario di un’epidemia.
"Ai primi di settembre del 1664 cominciò a correre voce a Londra e anch’io ne intesi parlare nel mio quartiere, che in Olanda c’era di nuovo la peste…".
Così inizia il” Journal of the Plague Year”, il Diario dell’Anno della Peste, scritto nel 1721 da Daniel Defoe, giornalista e scrittore inglese, autore di “Robinson Crusoe” (di cui possiedo una delle prime copie stampate), e “Moll Flanders”.
Si tratta di un diario immaginario. L’io narrante è un sellaio, non meglio identificato, che allo scoppiare dell’epidemia decide di rimanere in città, nonostante il pericolo, per continuare a curare i suoi affari. Fatalista e profondamente cristiano, si affida alla divina provvidenza, convinto, come molti all’epoca e forse anche lo stesso Defoe, che la causa dell’epidemia fosse dovuta ad una punizione divina per il cattivo comportamento degli uomini.
Accanto al diario personale, più intimo, largo spazio è dato alla descrizione e all’analisi minuziosa e lucida degli avvenimenti e dei comportamenti delle autorità da una parte, non sempre preparate ed efficienti (analogie con i tempo moderni?), e della popolazione dall’altra, sofferente e terrorizzata.
Alle vicende si aggiungono numerose testimonianze e documenti dell’epoca autentici, come le varie ordinanze emesse dalle autorità per cercare di contenere il contagio, le statistiche, il “Bills of Mortality” che riportava in dettaglio gli elenchi dei deceduti e la “Loimologia,” un accurato resoconto dei fatti redatto nel 1672 dal dottor Nathaniel Hodges, uno dei pochi medici che non abbandonarono la città, il quale si prodigò per gli ammalati soprattutto i più poveri con grande dedizione.
Nella figura di Nathaniel Hodges rivedo oggi non solo i colleghi che tengono la prima linea, ma quelle migliaia di medici volontari che ieri hanno risposto al bando della Protezione Civile.
Allora caro Defoe è un piacere, nel mio piccolo e senza pretesa alcuna, affiancare il mio modesto diario al tuo.
22 di Marzo … Di doman non c’è certezza …
Copyright testo e fotografia dott. Sergio Maccio'