Il racconto della giornata del 30 marzo 2020.
Vercelli, 31 Marzo 2020
Diario di Bordo – 30 Marzo a.d.c. (Anno del Corona)
NOTTURNO OSPEDALIERO
Un diario notturno, questa volta.
Le notti di guardia in ospedale hanno sempre avuto un fascino sottile.
Si entra in ospedale quando l’ospedale si svuota, si incrociano visi di operatori stanchi, tirati, che sorridono al sollievo della “stimbratura”. Lo sguardo compassionevole del collega che ti passa a fianco << Inizi?>>.
<< Si, inizio.>>
I pochi metri dalla timbratrice al reparto sono uno spazio dilatato. Si misura ogni passo.
Perché sono i metri che separano la vita fuori da quella dentro. La quiete prima della possibile tempesta.
Prima di aprire la porta del reparto non sai mai cosa ti attende oltre.
Una notte tranquilla? 12 ore di lavoro intenso? Poi giri la maniglia e vieni risucchiato.
Le notti di guardia prima dell’era COVID erano notti spesso caratterizzate da un silenzio surreale rotto a tratti da una strana sinfonia.
Un concerto di suoni “variopinti”, una cacofonia di colori gettati a caso sulla tavolozza. I “BIP” delle pompe infusionali si sovrapponevano ai cicalini dei monitor UTIC (Unità Coronarica) senza un ritmo predefinito. Il sommesso vociare che giungeva dalla sala infermieri. Il sottofondo un po’ gracchiante della televisione il cui segnale digitale saltava spesso e volentieri (ricordava a tratti un grammofono con la puntina usurata).
Il rumore sordo e regolare dei passi solitari di un infermiere nel corridoio buio accompagnato dal balenio della luce della torcia in movimento.
Uno sfarfallio del solito neon che minacciava l’abbandono da mesi ma poi non mollava e restava incrollabile al suo posto.
La luce mutevole dei monitor che illuminavano a spot il buio del reparto come piccole aurore boreali.
Questa notte, la notte dei colleghi che sono di guardia in area COVID, è diversa.
Alla sinfonia si aggiunge un “tono” di fondo.
Lo si percepisce appena entrati. E’ un soffio, un sussurro, un alito sottile.
Tornano in mente i ricordi delle esperienze americane. I congressi mondiali di cardiologia in Florida. Chi è stato da quelle parti almeno una volta sa di cosa parlo. Per loro il condizionamento è una ossessione. Temperature glaciali nei centri commerciali o sugli autobus che costringono (con temperature esterne estive) a tenere maglioni e sciarpe. In quei luoghi era caratteristico il rumore costante dell’aria emessa dai potenti climatizzatori.
Ed ora, nel silenzio della notte, nell’ospedale ai tempi del corona quel rumore lo ritrovo.
Non è il condizionamento.
E’ il rumore delle decine e decine di maschere di ventilazione ad alto flusso.
Lo strumento che rappresenta la principale cura (in attesa di capire quanto i farmaci e quali incidano veramente) per chi è stato colpito a livello polmonare dal virus.
Per chi passa ore in quei reparti quel rumore di fondo penetra in profondità, lo si porta a casa (un ronzio nelle orecchie) insieme ai segni delle maschere ffp2. Credo sia capitato anche ad altri colleghi dopo turni lunghi anche di 12 ore di tornare a casa e avere la netta sensazione di indossare ancora la maschera: la chiamo la “maschera fantasma”.
Alla fine di questa lunga maratona, quando potremo guardare indietro e tentare di riordinare ricordi e emozioni, avremo molte maschere fantasma da toglierci.
Intanto la notte prosegue.
Si controllano parametri, si regolano flussimetri.
E si cerca di conservare le forze. Perché dopo la notte seguiranno riunioni in giornata.
Riunioni operative. Si andrà ad ascoltare a che punto siamo. Cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo ancora trasformare, cosa dobbiamo cambiare, come dobbiamo plasmare l’ospedale in questo riadattamento continuo cui ci costringe la battaglia contro questo virus.
E nel silenzio della notte percepisco in modo chiaro e cristallino il mio respiro. Un gesto tanto scontato prima quanto prezioso oggi. Nel buio metto il dito nel saturimetro portatile… 98%. Bene.
Lontani nell’animo i tempi delle lotte sindacali per gli stipendi e le condizioni di lavoro (che sino a Febbraio parevano l’essenza di tutto), oggi la gioia sta in quel numerino. Oggi va bene, si può andare avanti, ma in silenzio, dopottutto è notte fonda.
31 di Marzo … domani è un altro giorno …
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’
Diario di Bordo – 30 Marzo a.d.c. (Anno del Corona)
NOTTURNO OSPEDALIERO
Un diario notturno, questa volta.
Le notti di guardia in ospedale hanno sempre avuto un fascino sottile.
Si entra in ospedale quando l’ospedale si svuota, si incrociano visi di operatori stanchi, tirati, che sorridono al sollievo della “stimbratura”. Lo sguardo compassionevole del collega che ti passa a fianco << Inizi?>>.
<< Si, inizio.>>
I pochi metri dalla timbratrice al reparto sono uno spazio dilatato. Si misura ogni passo.
Perché sono i metri che separano la vita fuori da quella dentro. La quiete prima della possibile tempesta.
Prima di aprire la porta del reparto non sai mai cosa ti attende oltre.
Una notte tranquilla? 12 ore di lavoro intenso? Poi giri la maniglia e vieni risucchiato.
Le notti di guardia prima dell’era COVID erano notti spesso caratterizzate da un silenzio surreale rotto a tratti da una strana sinfonia.
Un concerto di suoni “variopinti”, una cacofonia di colori gettati a caso sulla tavolozza. I “BIP” delle pompe infusionali si sovrapponevano ai cicalini dei monitor UTIC (Unità Coronarica) senza un ritmo predefinito. Il sommesso vociare che giungeva dalla sala infermieri. Il sottofondo un po’ gracchiante della televisione il cui segnale digitale saltava spesso e volentieri (ricordava a tratti un grammofono con la puntina usurata).
Il rumore sordo e regolare dei passi solitari di un infermiere nel corridoio buio accompagnato dal balenio della luce della torcia in movimento.
Uno sfarfallio del solito neon che minacciava l’abbandono da mesi ma poi non mollava e restava incrollabile al suo posto.
La luce mutevole dei monitor che illuminavano a spot il buio del reparto come piccole aurore boreali.
Questa notte, la notte dei colleghi che sono di guardia in area COVID, è diversa.
Alla sinfonia si aggiunge un “tono” di fondo.
Lo si percepisce appena entrati. E’ un soffio, un sussurro, un alito sottile.
Tornano in mente i ricordi delle esperienze americane. I congressi mondiali di cardiologia in Florida. Chi è stato da quelle parti almeno una volta sa di cosa parlo. Per loro il condizionamento è una ossessione. Temperature glaciali nei centri commerciali o sugli autobus che costringono (con temperature esterne estive) a tenere maglioni e sciarpe. In quei luoghi era caratteristico il rumore costante dell’aria emessa dai potenti climatizzatori.
Ed ora, nel silenzio della notte, nell’ospedale ai tempi del corona quel rumore lo ritrovo.
Non è il condizionamento.
E’ il rumore delle decine e decine di maschere di ventilazione ad alto flusso.
Lo strumento che rappresenta la principale cura (in attesa di capire quanto i farmaci e quali incidano veramente) per chi è stato colpito a livello polmonare dal virus.
Per chi passa ore in quei reparti quel rumore di fondo penetra in profondità, lo si porta a casa (un ronzio nelle orecchie) insieme ai segni delle maschere ffp2. Credo sia capitato anche ad altri colleghi dopo turni lunghi anche di 12 ore di tornare a casa e avere la netta sensazione di indossare ancora la maschera: la chiamo la “maschera fantasma”.
Alla fine di questa lunga maratona, quando potremo guardare indietro e tentare di riordinare ricordi e emozioni, avremo molte maschere fantasma da toglierci.
Intanto la notte prosegue.
Si controllano parametri, si regolano flussimetri.
E si cerca di conservare le forze. Perché dopo la notte seguiranno riunioni in giornata.
Riunioni operative. Si andrà ad ascoltare a che punto siamo. Cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo ancora trasformare, cosa dobbiamo cambiare, come dobbiamo plasmare l’ospedale in questo riadattamento continuo cui ci costringe la battaglia contro questo virus.
E nel silenzio della notte percepisco in modo chiaro e cristallino il mio respiro. Un gesto tanto scontato prima quanto prezioso oggi. Nel buio metto il dito nel saturimetro portatile… 98%. Bene.
Lontani nell’animo i tempi delle lotte sindacali per gli stipendi e le condizioni di lavoro (che sino a Febbraio parevano l’essenza di tutto), oggi la gioia sta in quel numerino. Oggi va bene, si può andare avanti, ma in silenzio, dopottutto è notte fonda.
31 di Marzo … domani è un altro giorno …
COPYRIGHT E FOTO: dott. Sergio Maccio’