La nostalgia
Poco prima di carnevale mi trovavo in una sala della biblioteca Marazza di Borgomanero a dissertare sulla “nostalgia”, impegnandomi con soddisfazione e gioia nella prima lezione dell’anno accademico 19-20 dell’Università della Terza Età. Ne sono stato uno dei fondatori ed ogni anno mi ritrovo a programmare cinque incontri con argomenti che rientrano o sono affini al campo medico. Mi piace entrare in empatia con gli uditori e mi diverto.
Non avrei mai pensato di trovarmi pochi giorni dopo in tunnel surreale in cui si poteva concretizzare quanto detto, allontanando rimpianti di ciò che non si può fare e coltivando invece quello stato d’animo dolce, talvolta struggente, ma vitale, che è la nostalgia: il bello da non sprecare.
E’ certo questo un periodo strano e per molti brutto. Sono però un fortunato che, in questa primavera fantastica di sole, posso permettermi un giardino. Posso vivere senza il bar e la pasticceria con la pasta frolla del primo mattino e non sono mai stato un patito degli apericena. Mi manca il tennis e la solita cenetta post partita all’enoteca Tiro a Segno, ma ho approfittato di queste giornate per ascoltare il silenzio, leggere libri che avevo impilato per il dopo, rimasti da qualche decina di anni sul ripiano più basso dello scaffale di fianco al letto, ascoltare LP ancora incellofanati, scrivere e tuffarmi godurioso nel sapore e nell’emozione della nostalgia.
Se i ricordi sono legati ad un periodo splendente, ad una cosa o ad una persona importante, significa che a tutt’oggi sono parte della nostra vita e la nostalgia aiuta a compattarne i percorsi, a renderli uniti e coerenti. Non si può certo tornare indietro, ma si può provare il desiderio di riprovare le emozioni che ci hanno dato piacere e gioia.
E’ ascoltando il disco di Simon e Garfunkel, popolare duo statunitense degli anni 60-70, che mi tuffo in quel caleidoscopio di profumi, carezze, colori, fiori e luoghi che incorniciano il tempo dell’innamoramento folle.
Non può non darmi un nuovo brivido “The sound of silence” piuttosto che “The boxer” o “Bridge over troubled water”. Sul giradischi riappaiono le immagini di Belluno, di Castion, delle corse sui prati gialli di tarassaco, di poster appesi ai muri della casa di campagna dei conti Miari ove passavo la luna di miele con la donna con cui ancora condivido affetto e capelli grigi.
Riascoltando, nell’unica giornata di pioggia di questa primavera siccitosa, i concerti di Antonio Vivaldi suonati con strumenti originali dal Concertus musicus Wien di Nikolaus Harnoucourt con quella sonorità particolare ed i temi facili da ricordare che offrono all’ascoltatore poca difficoltà di accesso, mi ritrovo a girovagare fra le bancherelle della fiera di Sinigaglia a Milano nei pressi della Darsena per fermarmi davanti al venditore di LP alla ricerca di novità musicali.
Piombo nell’estate bretone del 1980 con le sue maree, le zampogne e le feste campestri se suonano gli Steeleye Span, gruppo folk-rock inglese che ancora oggi rilegge brani tradizionali anche di qualche secolo fa con arrangiamenti rock.
Mi ritrovo su una pista da ballo con un gruppo folklorico in costume negli anni 70 se i Malicorne armonizzano:
“il mese di Aprile se n’è andato
il mese di Maggio si è avvicinato
e sposiamo le rose… che fanno un bel bouquet”
Se amate blues, rock, musica forte, allegra, varia cercate il concerto che il gruppo tex mex “Los Lobos” ha tenuto nel 2004 al leggendario Fillmore di San Francisco. Ritornate a muovervi anche con artrosi, palpitazione, qualche allergia e la tristezza per la clausura.
Come vedete la musica è sempre stata compagna della mia vita e ne ha costituito un fil rouge sin da quando a 16 anni con faticosi risparmi acquistavo e consumavo sul giradischi di mio padre il disco del concerto di Louis Armstrong alla Carnegie Hall.
Apparentemente la nostalgia sembra quindi stimolo a ricreare le circostanze che hanno prodotto emozioni positive, ma ha anche la funzione più profonda di rompere l’inerzia psicologica e promuovere un cambiamento positivo. Non disagio da eliminare, ma richiamo utile a ritrovare quello che siamo in profondo, forza vitale che ci accompagna nel cammino esistenziale, tanto importante quanto la meta, anche se non possiamo uscire di casa. Non malattia, non dolore del ritorno, come sottende la derivazione dal greco (nostos e algos). Con questo sentimento scendono in campo nella testa e nel cuore la memoria ed il piacere di ricordare persone, luoghi, atmosfere, sensazioni, piccoli e grandi pezzi della nostra vita. Viene in nostro soccorso aprendoci alla deliziosa ricerca di qualche cosa bella che abbiamo lasciato indietro, quel qualcosa che un tempo ci apparteneva. Può emergere un volto, un profumo, una carezza, una candela, una nuvola d’incenso, una preghiera. Nella psiche il tempo ha poco a che fare con il calendario e la divaricazione fra passato e presente è data dalle emozioni, alcune intense, altre meno intense. Per questo possiamo trovare il nostro luogo immaginario in cui le cose ci sembrano sempre vicine nel tempo.
Non lasciamoci allora coinvolgere dalla paura di essere bollati e censurati come “nostalgici”. Vediamo la nostalgia come risorsa da sfruttare per evitare che si trasformi nel più triste rimpianto. Il rimpianto immobilizza ed impedisce di vivere un presente considerato insoddisfacente. Non siamo né le vicende che ci ricordiamo con orgoglio e neppure le sconfitte che ci hanno fatto arrossire. Siamo in cammino, in continuo divenire fra gioia e dolore, imprevisti e certezze fragili che, in situazioni come l’attuale, vengono messe alla prova e possono frantumarsi.
Salgono in superficie le domande esistenziali di significato. Il silenzio fa parlare il cuore e l’anima troppo spesso messa in un angolo dal turbinio del fare, del successo, dell’apparire, ci mostra l’epifania di Dio.
COPYRIGHT dott. Alberto Cravero
Foto: dott. Alberto Cravero