È mancato il decano dei giornalisti novaresi.
A Novara si dice che “Quand a mora la brava gént, o ch’a piova o ch’a tira vént”.
E l’altro giorno tirava, in effetti, un fastidioso vento, uno di quelli che ti entra nelle ossa e non promette nulla di buono.
Contemporaneamente, moriva, a 93 anni, Romolo Barisonzo, decano e maestro di tanti giornalisti novaresi dal dopoguerra ad oggi conosciuto anche come “Il Romba”.
Aveva scritto per molte testate e, di alcune di esse, era anche stato direttore; notissimi i suoi libri come “La mia fatal Novara” e “Novaresi bella gente”.
Conobbi Romolo Barisonzo che ancora non ero iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Piemonte.
Lavoravo da Aldo Beldì, il più importante studio pubblicitario italiano, con sede a Novara in via Canobio. Quando Beldì doveva scrivere i testi di alcune famose pubblicità che passavano poi a Carosello, in RAI, chiamava Romolo Barisonzo, e gli sottoponeva i testi, per la canonica approvazione. Se Romolo diceva che andava bene il testo passava direttamente alla produzione oppure, se il Romba cambiava qualche cosa, Beldì annuiva gongolando, certo di aver avuto la migliore indicazione. Mi chiamava Raboz e con me parlava in dialetto forse perché già allora amava la lingua della sua città e frequentava i “Cinq da Nuara” che poi diedero vita alla Famiglia Nuaresa. Ai tempi di Beldì mi prendeva sottobraccio e mi parlava del suo lavoro di giornalista professionista e di quanto amasse leggere, studiare i classici e parlare il francese. Io, giovanissimo ex studente che mi affacciavo al mondo della pubblicità e del giornalismo, ero ovviamente affascinato dal quel signore elegantissimo (tutti ricorderanno i suoi preziosi papillon), raffinato e che parlava in italiano forbito, in francese perfetto e si lasciava andare con Beldì in un simpaticissimo “Dialèt nuares”.
Un uomo del genere mi lascia tanto vuoto dentro. Perché, intellettualmente, molte volte mi sono servito di lui e della sua grande cultura e, ovviamente dell’enorme disponibilità. Mi ha aiutato in tutti i meandri della professione giornalistica con una modestia disarmante, lui, che era un grande.
Un piccolo aneddoto per ricordarlo: poco dopo aver fattoconoscenza, mi chiese di dargli del tu; io diventai rosso come un peperone e annuii, ma riuscii a dare del tu a quel monumento di sapere solo un anno dopo. Lui mi disse: “L’era ura che t’it disciulavi a dam da ti”.
Ciao Romba.
Copyright Stefano Rabozzi