La regia di Guillermo Del Toro come sempre è straordinaria e riesce a tenere incollati anche solo per questo.
Novara, 28 febbraio 2018
Un film osannato dalla critica mondiale, detentore di un Leone d'oro al miglior film alla 74ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e candidato a Oscar, Golden Globe e molti altri prestigiosi premi. Le aspettative sono altissime.
Negli anni Guillermo Del Toro (Labirinto del Fauno, Hellboy, Pacific Rim) ha raccolto una mole di fan impressionanti, creando immaginari unici. È nota la sua passione per l’occulto e in questo film traspare tutta. La sua regia come sempre è straordinaria e riesce a tenere incollati anche solo per questo.
Ci troviamo di fronte a una sorta di revival de “il mostro della laguna nera” di Jack Arnold, in chiave romantica, ambientato nell’America degli anni ’60. Elisa Esposito (la protagonista) è una donna affetta da mutismo che lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio governativo, qui menti eccelse lavorano per contrastare la minaccia russa. Un giorno viene portata una creatura acquatica umanoide, considerata un Dio in amazzonia, che viene sottoposta a svariati esperimenti. Da qui nascerà l’amore tra questo ed Elisa.
La trama altalenante ha diversi buchi che fanno storcere il naso, uno tra tutti: la mancanza di una sorveglianza adeguata in questi laboratori, la protagonista infatti non fatica minimamente a relazionarsi con la creatura.
Al di là della trama lacunosa e fin troppo lineare le performance recitative sono di alto livello.
Sally Hawkins (Elisa Esposito) si trova a dover impersonare una donna muta e lo fa con una delicatezza e una grazia incantevole. D’altra parte l’antagonista (Richard Strickland) impersonato da Michael Shannon è credibile, spaventosamente fanatico e totalmente immerso nel personaggio. Un plauso anche a Richard Jenkins, Michael Stuhlbarg e Octavia Spencer che danno vita a personaggi secondari di spessore.
Stupende sono le scenografie, i costumi e la fotografia, tutto in puro stile Guillermo Del Toro. È un’America idealizzata dove si respira in ogni dove il clima della guerra fredda e la chiusura mentale del periodo. Un clima ovattato fatto di colori e volti felici, capaci di mutare al primo segno di disuguaglianza. Il tutto riempito dalla presenza costante di richiami al cinema americano di una volta.
Un inno agli emarginati, ai diversi e ai soli. Uno splendido messaggio veicolato da una trama poco solida ma da un comparto tecnico e da attori di alto livello. Insomma non è certo il capolavoro di cui tutti parlano, ma è comunque un film valido.
Copyright Ivan Pelizzari
Un film osannato dalla critica mondiale, detentore di un Leone d'oro al miglior film alla 74ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e candidato a Oscar, Golden Globe e molti altri prestigiosi premi. Le aspettative sono altissime.
Negli anni Guillermo Del Toro (Labirinto del Fauno, Hellboy, Pacific Rim) ha raccolto una mole di fan impressionanti, creando immaginari unici. È nota la sua passione per l’occulto e in questo film traspare tutta. La sua regia come sempre è straordinaria e riesce a tenere incollati anche solo per questo.
Ci troviamo di fronte a una sorta di revival de “il mostro della laguna nera” di Jack Arnold, in chiave romantica, ambientato nell’America degli anni ’60. Elisa Esposito (la protagonista) è una donna affetta da mutismo che lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio governativo, qui menti eccelse lavorano per contrastare la minaccia russa. Un giorno viene portata una creatura acquatica umanoide, considerata un Dio in amazzonia, che viene sottoposta a svariati esperimenti. Da qui nascerà l’amore tra questo ed Elisa.
La trama altalenante ha diversi buchi che fanno storcere il naso, uno tra tutti: la mancanza di una sorveglianza adeguata in questi laboratori, la protagonista infatti non fatica minimamente a relazionarsi con la creatura.
Al di là della trama lacunosa e fin troppo lineare le performance recitative sono di alto livello.
Sally Hawkins (Elisa Esposito) si trova a dover impersonare una donna muta e lo fa con una delicatezza e una grazia incantevole. D’altra parte l’antagonista (Richard Strickland) impersonato da Michael Shannon è credibile, spaventosamente fanatico e totalmente immerso nel personaggio. Un plauso anche a Richard Jenkins, Michael Stuhlbarg e Octavia Spencer che danno vita a personaggi secondari di spessore.
Stupende sono le scenografie, i costumi e la fotografia, tutto in puro stile Guillermo Del Toro. È un’America idealizzata dove si respira in ogni dove il clima della guerra fredda e la chiusura mentale del periodo. Un clima ovattato fatto di colori e volti felici, capaci di mutare al primo segno di disuguaglianza. Il tutto riempito dalla presenza costante di richiami al cinema americano di una volta.
Un inno agli emarginati, ai diversi e ai soli. Uno splendido messaggio veicolato da una trama poco solida ma da un comparto tecnico e da attori di alto livello. Insomma non è certo il capolavoro di cui tutti parlano, ma è comunque un film valido.
Copyright Ivan Pelizzari